Gentilissimo Sig. Presidente, lette le Sue dichiarazioni relative ai 150 anni dell’unità d’Italia, mi permetto di sottoporLe alcune osservazioni. 45 anni, docente di italiano e storia in una scuola di un famoso quartiere a rischio di Napoli, specializzato in scienze della comunicazione ed in archivistica, da quasi 20 anni sono impegnato in ricerche e in pubblicazioni di carattere divulgativo sulla storia di Napoli e del Sud fino a diventare “neoborbonico”, pur senza coltivare sentimenti monarchici, secessionistici o anti-italiani. Per me l’Italia resta e resterà “una e indivisibile” ma potrà restarlo ancora di più se tutti noi contribuiremo alla conoscenza e alla diffusione della verità storica soprattutto tra le nuove generazioni. 
Per un secolo e mezzo la storiografia ufficiale ha diffuso la tesi di un “Risorgimento” che avrebbe contribuito a “liberare” i meridionali asserviti allo straniero e subalterni per mentalità, condizioni socio-economiche o addirittura tradizioni genetiche. Per un secolo e mezzo la storiografia ufficiale ha raccontato le storie romanzate e romantiche di eroi ed eroine dando spazio più alla retorica che ai fatti. Per un secolo e mezzo intere generazioni sono state formate in maniera storiograficamente unilaterale con migliaia di libri di testo, di romanzi, di tesi di laurea, di convegni, mostre, documentari o film e con risultati che, visti i tempi e i mezzi utilizzati, se è vero quel “deficit di conoscenze” che in tanti lamentano, non possono certamente definirsi adeguati o positivi.
Scarsissima o assente l’altra versione della storia che pure, da Italiani e da antichi “Napoletani”, dovrebbe essere rispettata e amata. Poco o nulla a proposito delle condizioni economiche del Sud preunitario (prima potenza industriale e navale italiana e tra le prime in Europa e con differenze di fatto nulle rispetto al resto dell’Italia, come hanno dimostrato recenti studi dell’Università di Catanzaro e del CNR di Napoli); poco o nulla a proposito della Napoli unica vera capitale (per numero di abitanti, per struttura urbanistica o per numero di teatri e di riviste) ridotta a provincia di un regno lontano; poco o nulla a proposito dei primati positivi del Regno delle Due Sicilie (dalla famosa prima ferrovia alla più bassa mortalità infantile o alla più alta percentuale di strutture ospedaliere o società commerciali); poco o nulla a proposito del massacro di decine di migliaia di persone (i cosiddetti “briganti”) colpevoli di difendere la loro antica patria e artefici di una reazione nella sostanza politica (come hanno dimostrato le recenti e voluminose ricerche sulle fonti del “brigantaggio” a cura dell’Ufficio Centrale per i Beni Archivistici) di fronte ad un’invasione caratterizzata da violenze spesso ingiustificate (con la frequente pratica dei militari sabaudi di “decapitare” i nostri concittadini “per pura praticità e comodità di trasporto”, come risulta dai documenti troppo spesso inediti del fondo “Brigantaggio” custoditi presso l’Ufficio Storico del Ministero della Difesa); poco spazio anche a quel dato relativo all’oro conservato sui banchi italiani all’atto dell’unificazione (dei 668 milioni complessivi, 443 erano presso i banchi del Sud, come rivelò Francesco Saverio Nitti); poco spazio allo smantellamento delle strutture produttive meridionali (attraverso una politica economica prima liberista e poi protezionista e grazie agli appalti pubblici puntualmente cancellati al di sotto del Garigliano); poco spazio alla successiva tragedia dell’emigrazione prima sconosciuta a Sud e ancora viva sulla nostra pelle (5 milioni di emigranti solo tra il 1870 e il 1913, con conseguenze non solo economiche nel tessuto sociale di un’intera società).
Poco spazio alle vere motivazioni, quindi, di una questione meridionale tuttora irrisolta, nonostante l’apporto di meridionalisti più che numerosi e con classi dirigenti inadeguate, ieri come oggi.
E se anche Lei, Sig. Presidente, come molti dei suoi illustri predecessori, ha richiamato l’attenzione sul divario Nord-Sud, qualcosa, evidentemente, dopo 150 anni, non deve aver funzionato nell’impostazione della politica italiana e nella formazione delle classi dirigenti al potere da tutti questi anni.   Qui non si tratta di “detrattori dell’unità d’Italia” ma di semplici e disinteressati amanti della verità storica che vorrebbero pari dignità in tutto il nostro Paese. Dove sarebbero, allora, quei “giudizi sommari” o “quei pregiudizi volgari”? Tra quei dati dimenticati negli archivi o nelle sofferenze altrettanto dimenticate di un popolo intero che ha contribuito anche più degli altri popoli alla formazione della stessa Italia? La “rumorosità” di certe critiche sempre più diffuse, del resto, è strettamente legata alla impossibilità di un serio e obiettivo dibattito storico-culturale su questi temi, con una cultura ufficiale arroccata su posizioni, a quanto pare, sempre più fragili.
Tutto questo cancellò o danneggiò, oggettivamente, quel “comune sentire nazionale, pur alimentato nei secoli da profonde radici di cultura e di lingua”. E rischia di danneggiarlo ancora oggi se anche le celebrazioni del centocinquantenario seguiranno la stessa linea realmente “approssimativa e tendenziosa”. Non è in dubbio che quel sentimento potesse esistere: è certo, però, che quel sentimento fu tradito da azioni che non portarono alla naturale unificazione dell’Italia ma ad una conquista di una parte dell’Italia ai danni dell’altra cancellando identità e culture come quella cattolica o come quella napoletana.
Non c’è spazio, come sostiene anche Lei nelle Sue dichiarazioni, per “scetticismi, particolarismi o frammentazioni”, se sapremo ritrovare la strada di una storia realmente condivisa, priva di retorica e ricca di verità per troppo tempo trascurate,  mistificate o cancellate. Una nuova e vera identità nazionale o addirittura europea non può prescindere dallo studio e dalla consapevolezza diffusa delle nostre radici, di tutte le nostre radici, le stesse che possono costituire, a pieno titolo, un “patrimonio di valori unitari” irrinunciabili per l’Italia e l’Europa di domani.  
 
Napoli, 14 febbraio 2010
Cortesi saluti
Prof. Gennaro De Crescenzo