“LA LUNA D’INVERNO NON PARLA” (MA PRIMA O POI TORNERÀ A PARLARCI) NEL NUOVO ROMANZO DI ANTONIO LOMBARDI.
Antonio Lombardi è un appassionato e documentatissimo studioso della storia del Sud. Ho letto in poche ore il suo nuovo libro, un romanzo (“La luna d’inverno non parla”) e posso solo ringraziarlo per le notizie e per le emozioni che mi ha trasmesso. Leggo sempre con piacere i libri del “nostro mondo” (e quelli del “resto del mondo”) ma non sempre mi trovo di fronte a pagine capaci di comunicare tutto quello che comunica Antonio Lombardi. La storia parte dalle ricerche archivistiche condotte sulle vicende degli educandati napoletani tra San Marcellino e i Miracoli (da giovane, ho lavorato lì per pochi ma bellissimi giorni di lezione come docente di italiano e latino). E già le fonti danno al libro un valore aggiunto: tutto quello che è scritto viene in gran parte dagli archivi o da documenti, giornali e cronache del tempo. E così la difesa eroica della propria dignità e della propria identità che Maddalena, Maria Concetta o Margherita, le “maestrine”, tentano fino alla fine e all’allontanamento da quei luoghi e dalle loro allieve sono una vera testimonianza della storia vista dall’altra parte, dalla parte dei vinti. E mentre “l’ordine nuovo delle cose” fa il suo inarrestabile e cinico corso, quelle “donne delle Due Sicilie” furono forse le “ultime” donne delle Due Sicilie insieme a tante “brigantesse”. L’episodio, tra l’altro, dimostra anche una tesi che da anni porto avanti: quella della opposizione all’invasione anche a Napoli e in quei centri urbani che, ovviamente, non si prestavano ad una guerra come quella brigantesca ma che pure registrarono numerosissimi atti di protesta e rivolta anche “nonviolenta” come questa e che portarono al riempimento progressivo e drammatico delle prigioni del regno (altro che “consensi dei meridionali” come qualcuno vorrebbe farci credere).
E così si aprono davanti ai nostri occhi come in un film mai girato (e pensiamo a quanti film in questi anni sono stati realizzati su personaggi inutili o inesistenti) le storie di Monsignor Tipaldi e del Cardinale Sforza (allontanati o esiliati per non aver accettato quel “nuovo ordine di cose”), dei famosi politici/intellettuali italiani (De Sanctis e Settembrini su tutti) che quel “nuovo ordine di cose” lo accettarono e ne diventarono gli artefici senza pensare a quello che Margherita avrà il coraggio di dirgli in un drammatico “processo” poco prima di abbandonare la sua scuola: “sarà la storia a chiamarvi colpevoli per la slealtà verso i vostri popoli” (e forse, poco alla volta, questa storia sta davvero cambiando e stiamo iniziando a fare i conti con il passato collegandolo al presente). E così il Regio Educandato Maria Isabella di Borbone diventa semplicemente e significativamente “primo educandato”. E così nel testo si racconta il ruolo delle mafie e della massoneria in quegli anni, le terribili epurazioni (anni fa trovai in archivio tante pratiche di maestri licenziati perché ritenuti “borbonici”), la situazione del Regno prima del 1860 magari con quegli imprenditori svizzeri che trovavano qui una terra “bella e incoraggiante”. E così si alternano storie “grandi” e storie “piccole”, tra la “lava ai Vergini” e le passeggiate per Napoli, la lista degli acquisti per Natale e le divise azzurre fino a quelle cinture colorate che diventano “tricolori” e che mi ricordano anche l’imposizione di quei fiocchi tricolori al mio ultimo anno di scuola elementare alla Dante Alighieri di piazza Carlo IIII. “E mo’?”, si chiedono spesso le protagoniste come ce lo chiediamo spesso noi durante le nostre “battaglie”. E “che sarà di te, Napoli, tra 100 o 200 anni?”. Non lo sapevano quelle eroiche maestrine e forse neanche noi lo sappiamo ancora ma sappiamo che fecero bene a gridare quello che gridarono di fronte alle offerte e alle minacce dei “rinnegati” di turno, al pari dei tanti silenziosi ed altrettanto eroici soldati che preferirono la deportazione al Nord alla rinuncia alla loro dignità: “non posso, non devo, non voglio giurare” E oggi quella “lotta nobile” ci serve ancora e il suo racconto serve ancora ai nostri ragazzi come un esempio di coerenza e di senso di appartenenza, esempio “a testa alta” di una re-azione che anche oggi non può che essere “nonviolenta” e non può che essere prima di tutto culturale.
E alla commozione finale si aggiungono diversi spunti poetici: quelle bambine “con i volti incollati ai vetri”, la litografia della “Partenza di Pulcinella per la luna” del grande Salvatore Fergola (il pittore dei primati borbonici) e quel freddo e quell’inverno, un inverno dell’anima, che fa restare muta, in cielo, la luna, quella luna che prima o poi, però (com’è nelle speranze nostre e dell’autore), passato questo lungo inverno, ritornerà a parlarci.
Gennaro De Crescenzo