L’Italia candida all’Unesco il caffè come patrimonio culturale. La prima proposta avanzata dalla Regione Campania è quella relativa alla tradizione napoletana. La seconda, in risposta alla prima, è quella relativa all’espresso italiano avanzata da diverse industrie del Nord (in testa alcune aziende triestine). Il ministro dell’Agricoltura (il grillino e triestino Patuanelli) alla fine ha presentato entrambe le proposte alla commissione presso il Ministero degli Esteri (del napoletano Di Maio) andando incontro ad una decisione inevitabile: il ritiro della candidatura italiana e la presentazione, tra l’altro, della proposta del cavallo Lipizzano (triestino). Come giustamente ha evidenziato Luciano Pignataro sul Mattino, se l’Unesco accetta proposte come “patrimoni immateriali”, da un lato ci sarebbe stata effettivamente una tradizione e dall’altro dei macchinari. Di “meccanismo cieco e poco chiaro” hanno parlato i responsabili campani ricordando giustamente anche alcune recenti “campagne denigratorie” televisive contro il caffè napoletano, campagne che a molti erano sembrate strane e che ora, alla luce di quanto successo, potrebbero avere avuto la loro logica. In sintesi: è quello che accade da 160 anni con la questione meridionale, con gruppi di potere “padani” che riescono, con i loro mezzi anche mediatici, a imporre le loro scelte e anche a convincere tutti che sono quelle giuste. Ecco come, concretamente, è nata e come non si è risolta la questione meridionale con buona pace di chi (al contrario di quanto si dice in giro) presenta progetti positivi e nonostante parole e promesse dei politici di turno. E diventano amare pure le canzoni (“Ah, che bbellu ccafè sulo a Napule ‘o ssanno fa’?”)…
Gennaro De Crescenzo