A Napoli, tra la via Pignasecca e la via S.Liborio, c’è una piccola stradina (nemmeno 50 metri) con un nome particolarissimo che non è mai mutato nei secoli, conservando l’antica toponomastica: vico Tre Tornesi.
A vederlo così sembrerebbe uno dei tanti vicoletti della Napoli “vecchia” senza alcun apparente punto d’interesse ed invece è proprio il nome che può raccontarci un pezzo di storia della città.
Nel 1640 venne edificata la Porta Medina (ultima porta della città ad esser costruita), il più importante varco della zona, attraverso il quale si controllava il traffico delle merci in ingresso ed in uscita e si riscuotevano i relativi dazi. La Porta era situata tra il palazzo adiacente l’attuale stazione ferroviaria della Cumana ed il palazzo ad angolo con l’attuale via Giovanni Ninni (dove c’è la pizzeria Fiorenzano, tanto per meglio intendere). Porta Medina verrà abbattuta oltre due secoli dopo, nel 1873, all’indomani dell’Unità d’Italia.

Ma in zona, Porta Medina non era l’unico accesso alla città. Andando più verso l’interno, c’era un altro accesso, più piccolo e più antico (Napoli contava 26 Porte principali e moltissime altre che nei secoli vennero abbattute man mano che la città si espandeva), da non confondere né con la Porta Petrucci, né con Porta delle Corregge a Monte Oliveto. Molto probabilmente si trattava di Porta Carrese a Montecalvario, un varco adibito al passaggio dei soli carri.

Da questo varco transitavano quindi soprattutto i contadini provenienti dalla collina del Vomero e dell’Arenella che trasportavano i loro prodotti agricoli da vendere al mercato della Pignasecca e per poter entrare nelle mura della città, i “vruoccolari” (così venivano chiamati i contadini del Vomero, per le importanti coltivazioni di broccoli) dovevano pagare una tassa pari a tre tornesi.
Il tornese napolitano fu coniato in rame dal ‘400 con gli Aragonesi e veniva detto anche “pubblica” per la scritta riportata su una delle facce. Equivaleva a 6 “cavalli” (sottomultiplo), mentre occorrevano 2 tornesi per avere l’equivalente di 1 “grano”, 20 per 1 “carlino”, 40 per un “tarì” e 200 per 1 ducato.
Troviamo riferimenti al tornese ed alla “pubblica” (in questo caso inteso come donna pubblica”) anche in molte opere letterarie in lingua napoletana del passato. Per esempio ne “Lo cunto de li cunti” del 1634 di Giovan Battista Basile, alla prima giornata, “trattamiento secondo”, Cecca (la narratrice) ammonisce gli uomini che vanno con le prostitute dicendo: “…le ‘ntrate pe na pubreca, la quale non passa tre tornise…”. Molto probabilmente, in quegli anni, tre tornesi erano anche la tariffa media di una prostituta.

Ad inizio del ‘900, scomparsa la dogana, al vico Tre Tornesi si registra la presenza di una delle tante “latrine pubbliche” dislocate nella città, oltre ad un venditore d’olio, un certo De Falco Luigi (fonte: Guida Amministrativa, Commerciale, Industriale e Professionale della Città e provincia di Napoli – Elenco delle latrine nella città di Napoli e nei villaggi, Cessi a pagamento cent.10).

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