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PURTROPPO NON CONSIGLIERÒ AI MIEI AMICI DI COMPRARE “FAKE SUD” DI MARCO ESPOSITO (E BARBERO). UNA SCELTA DOLOROSA MA NECESSARIA (E MOTIVATA). “Non ci interessano strategie, giochini o compromessi: la nostra storia va rispettata. Punto”. I motivi per cui non consiglierò ai miei amici di comprare FAKE SUD di Marco Esposito si legano alla prefazione di Alessandro di Barbero e anche a tanti contenuti del libro stesso. In premessa dobbiamo ringraziare gli autori di libro e prefazione perché concedono molto spazio ai neoborbonici, evidentemente preoccupati o stimolati dal successo delle loro tesi (se qualcosa non ci preoccupa, non ci interessa o la si ritiene inutile, non se ne parla o almeno non se ne parla con questa frequenza o con certi toni). Ognuno è libero di scegliersi i firmatari della sua prefazione (e anche di pubblicizzarli con le fascette sui libri) ma forse è meno libero di consentire offese e insulti anche personali nelle stesse prefazioni. Si tratta, in realtà, delle solite offese rivolte da Barbero ai neoborbonici (non solo nostri simpatizzanti o collaboratori ma migliaia di persone e tutto il mondo che ruota intorno al seguitissimo “neo-meridionalismo”) fin dalla uscita del suo libro che cercava di negare o ridimensionare i drammi vissuti dai soldati delle Due Sicilie a Fenestrelle (e confermati da diverse domande “archivistiche” che posi a Barbero anni fa e alle quali non ha mai risposto e che saranno confermati in pieno da un libro di un coraggioso accademico e in uscita nel prossimo inverno). Non ho mai offeso personalmente Barbero e nell’unico confronto che ho avuto con lui, di fronte alle sue risatine mentre io parlavo di quei poveri soldati morti di freddo e stenti, oltre a tante osservazioni sul piano storico-archivistico, mi limitai ad osservare che forse le distanze tra noi non erano solo storiografiche. Dalla quantità degli insulti che ci ha rivolto in questi anni (mai ricambiato) e anche in questa prefazione, devo pensare che forse quella mia osservazione dovette colpirlo, anche se ricordo la cortesia dei saluti e addirittura l’idea che qualcuno gli aveva proposto (quella di scrivere un libro insieme). Evidentemente, visto che è stata quella l’unica occasione di incontro, avrà ripensato a quella serata, ne avrà rivisto il video e il ricordo non deve essere positivo (al contrario di quanto posso dire io). Detto questo, da anni abbiamo rinunciato a incarichi, a guadagni facili e a seggi elettorali e stiamo perdendo (altro che “mezzi” o fini “immondi”) tempo e denaro nelle nostre vite sottraendolo a noi e alle nostre famiglie e non possiamo consentire a nessuno insulti gratuiti personali o alle migliaia di persone che da anni ci seguono con rispetto e affetto. Non ci interessano le reazioni “infuriate” (esistono degli ottimi rimedi anche naturali) e non ci interessano neanche le strategie politiche o pubblicitarie e, anche se si tratta di famosi docenti onnipresenti in tv, ci tuteleremo e tuteleremo i nostri tanti iscritti e simpatizzanti in ogni modo e con ogni mezzo (legale, democratico e civile). Detto questo, è opportuna un’analisi per illustrare i (tanti) motivi per cui questo libro non ci convince. In premessa devo ammettere una mia mancanza: non ho mai letto una premessa così carica di astio e rancore in un libro che per giunta parla di “pendoli” e di necessità di moderare i termini dei confronti. E se la scelta di Barbero (dopo le tante e innumerevoli offese rivolte ai suoi “oppositori”) poteva essere un’idea pubblicitaria (al netto delle ovvie critiche nel nostro “mondo”, lo stesso contro il quale si rivolge spesso Barbero e che magari poteva acquistare il libro di Esposito), quando l’autore e l’editore hanno letto il testo forse avrebbero potuto avere qualche dubbio… Ve lo riportiamo. “Prefazione di Alessandro Barbero. Si tratta dell’insieme di scellerate fantasie che il movimento neoborbonico ha messo in circolo dalla fine del secolo scorso reinventando da cima a fondo la storia del Mezzogiorno d’Italia e dell’Unità d’Italia […], qui si tratta di influenzare la mentalità collettiva del nostro paese e si accendere passioni violente sulla base di informazioni false […]. Altrove ho scritto di un fine immondo e mi correggo: sono i mezzi che sono immondi” […]. Marco Esposito è stato troppo rispettoso di persone come Pino Aprile o Gennaro De Crescenzo (anche se io per primo, avendoli incontrati entrambi, riconosco che fra i due c’è una bella differenza di statura umana […]; c’è da provare ripugnanza […]; si tratta di primati tragicomici e di buffonate dei neoborbonici”. E se Esposito scrive a Pino Aprile che le sue (presunte) fake danneggiano la parte buona del resto dei suoi libri, potremmo dire lo stesso di Esposito di fronte a queste parole. Ma andiamo avanti con il resto dei contenuti. Solo una nota a cui tengo: Barbero, forse sbagliando parola, parla di “statura umana” e io, con tutto il rispetto e pur nei miei limiti, con il mio 1.78 credo di essere più alto sia di Barbero che di Pino Aprile…
La base del libro è “l’errore del pendolo” e cioè gli eccessi antimeridionali e gli eccessi meridionali anche se per contestare i secondi Esposito contesta le tesi dei neoborbonici. La motivazione in sostanza è “dobbiamo essere infallibili se vogliamo essere credibili”. Bene chiarire, forse, che non esistono ricerche e tesi infallibili. Facciamo qualche esempio. Tra i primi che mi vengono in mente c’è la proposta secessionista di Marco Esposito che (Barbero lo sa?) qualche anno fa il giornalista del Mattino sintetizzò nel libro “Separiamoci”, un progetto forse anche estremistico sul piano del diritto italiano e nel quale mai nessun neoborbonico si era mai avventurato. Qualche anno prima, sempre per fare un esempio, il successo relativo del suo progetto di moneta alternativa come assessore a Napoli (nome non molto felice: il “Napo”) o il suo progetto elettorale con percentuali non superiori allo “zerovirgola”. Nessuno, però, a differenza di quanto Esposito fa nel libro lamentandosi per la mancata autocritica di Pino Aprile o per la mancanza della dichiarazione di qualche correzione (e neanche delle correzioni) magari nell’elenco dei primati, ha mai pensato di chiedere a Esposito autocritiche o “dichiarazioni di omessa dichiarazione di integrazione di un primato”… Nel libro una serie di dati puntuali che conosciamo bene anche per i numerosi articoli e per gli altri libri che Esposito ha scritto sulle sottrazioni di fondi a danno del Sud e anche su diverse bugie che circolano in merito a sprechi e inefficienze da queste parti.
Quello che però più sorprende è il fatto che Esposito metta sullo stesso piano l’eventuale errore del “terzo posto industriale” (neanche del sottoscritto ma di diversi altri autori o semplicemente di tante persone su facebook) e oltre un secolo e mezzo di fake, di cancellazioni, di mistificazioni e umiliazioni contro il Sud. Da un lato, allora, una storia ufficiale che in maniera monopolistica, con tv, giornali, università e case editrici e anche libri di scuola di ogni ordine e grado ci racconta le (vere) fake di Garibaldi&Garibaldini o di un Sud arretrato e inferiore con le conseguenze culturali e anche politiche ed economiche che il libro stesso evidenzia, dall’altro un gruppo di storici volontari e autofinanziati che ha tirato fuori storie cancellate con le conseguenze (positive) che hanno e potranno avere. Ma per Esposito siamo tutti uguali e il pendolo vale per loro e per noi. È grave per lui, allora, che qualcuno abbia tirato fuori la storia del “terzo posto” (secondo i suoi dati forse era sesto o settimo) ma non che qualcun altro non abbia mai parlato delle industrie del Sud pre-unitario. Ci convince poco anche la motivazione di tutto questo (la potremmo pure condividere ma il rischio della retorica e della pre-sunzione è troppo alto): “potremmo tornare ad essere un modello armonico di esistenza”. E allora la sensazione è che “l’errore del pendolo” non sia dei neoborbonici o dei neomeridionalisti ma di… Esposito che non si è accorto che quel pendolo era spostato tutto da una parte da oltre 150 anni.
“Se quei primati vengono esaltati oltremodo l’operazione di riscatto della memoria dei neoborbonici da necessaria diventa perniciosa”: peccato che quei primati siano oltre 150, che quelli “integrati” e aggiornati” nel libro siano solo sette e che per 150 anni di quei primati non si conosceva l’esistenza e non ricordiamo libri di Esposito che ne abbiano mai parlato e neanche libri nei quali abbia difeso il Sud dalle umiliazioni di tutta la storiografia italiana. Notiamo oggi (anzi) un Esposito tutto intento a calcolare i metri cubi della Reggia di Caserta per dimostrare che non è la reggia più grande (ed è costretto a riconoscere che il primato è riportato anche dal sito della Reggia) o con il vocabolario di tedesco per dimostrare che la prima cattedra di economia era in Germania e non a Napoli (eppure bastava dare un occhio alla Treccani) o a confrontare gli elenchi di primati sul sito dei neoborbonici (2005) con il mio libro del 2019. Tante le pagine dedicate ai moti del 1820 e al “primo parlamento a suffragio universale” (omettendo le critiche che i Nitti o i Croce rivolsero contro quei moti carbonari-massonici ed etero-diretti), uno dei pochi primati borbonici anti-borbonici (il Borbone, per accordi internazionali e, resosi conto delle reali intenzioni dei rivoluzionari, bloccò tutto). Esposito insiste anche con una vecchia tesi della storiografia ufficiale a proposito della implosione del Regno ma Esposito non cita altre fonti: fu sempre Croce, come riportato da un recente libro di Gigi Di Fiore, ad evidenziare che si trattò di una caduta “per urto esterno” e libri recenti e documentatissimi dimostrano che si trattò anche in quel caso di una operazione etero-diretta.
Per Esposito, poi, è “vomitevole” (aggettivo non proprio moderato e tendente a quella armonia vagheggiata in altre pagine) la storia divulgata (sul web e sui social!) dei “10 o 15 anni di chiusura delle scuole del Sud dopo il 1860”. A questo proposito cita anche il sottoscritto quando riporto i dati del più alto numero di iscritti all’università. Qui cita il mio (“bel”) libro sui primati ma forse non lo avrà letto tutto perché in quel libro e in altre mie pubblicazioni il dato degli iscritti è solo uno dei tanti elementi portati come “prove” (archivistiche) relative alla falsità dei dati del censimento del 1861 (in testa quelli del Fondo Ministero Istruzione a Napoli e quelle successive degli Annuari). Sono quelle le fonti che dimostrano la chiusura di un numero enorme da un notevole numero (oltre 6000) di scuole presenti nelle Due Sicilie fino alla nefasta applicazione della legge Casati (che Esposito cita senza analizzarne le conseguenze). In questo caso Esposito dimentica anche di completare la lettura del libro di Daniele che pure cita in più passaggi: in particolare non riporta i dati relativi al numero di scuole presenti nelle Due Sicilie (in media con quelle del resto dell’Italia).
Surreale il capitolo relativo alla deportazione dei meridionali in Patagonia progettata dallo stato italiano: nel corso dell’intervista inserita nel libro Barbero in un primo momento nega questa possibilità ritenendola una “leggenda neoborbonica” e di fronte a diversi documenti accetta in parte la tesi ma con un suo strano distinguo che applicò anche ai prigionieri di Fenestrelle: quei progetti “per atterrire le nostre impressionabili popolazioni” non erano pensati per i meridionali ma per tutti gli “italiani” perché dal 17 marzo 1861 eravamo tutti italiani… Per Barbero, allora, le decine di migliaia di meridionali deportati con la legge Pica e ritrovati (nomi e cognomi) negli archivi dell’Italia centrale e settentrionale sono una fake news (peccato che Esposito non l’abbia inserita nel libro)…
Schema simile sempre a quello seguito da Barbero anche quando “Fake Sud” affronta il tema di Fenestrelle usando “la parte per il tutto”: per Esposito Di Fiore “ha scritto prima ‘in tanti morirono in quelle prigioni’ per poi correggersi (già negli Ultimi giorni di Gaeta) dicendo che ‘per loro il ritorno a casa non fu semplice’ e poi riconoscendo che non fu persecuzione scientifica”. In realtà, leggendo bene e conoscendo bene i libri di Di Fiore, non risulta affatto questo “climax” suggerito in maniera quasi subliminale da Esposito: in Nazione Napoletana (successivo agli “Ultimi giorni”), a proposito dei campi di prigionia sabaudi, Di Fiore scrive di “migliaia di militari rinchiusi” e anche “a centinaia non fecero più ritorno”. Stesso schema quando cita il prof. Gangemi e i suoi documentatissimi studi di prossima pubblicazione: si parla solo dell’errore di Barbero sui 1200 soldati (forse erano 1300) e non delle pluriennali ricerche archivistiche con le quali Gangemi dimostra la morte a Fenestrelle e altrove di diverse migliaia di soldati. Proprio su Fenestrelle i passaggi forse più (in negativo) significativi: abbracciando in pieno le tesi barberiane, Esposito sostiene che non era un lager, che non c’era la volontà di sterminare i soldati napoletani ma (giuriamo che la frase è proprio questa) “semmai l’ingenua pretesa di inquadrarli rapidamente nel nuovo esercito nazionale”. Non possiamo non evidenziare l’aggettivo “ingenua” riferito a quella scelta che, pure ammesso che la volontà iniziale non fosse lo sterminio, stride con le condizioni di quei viaggi e di quelle prigioni ritenute infernali per decenni. A parte il fatto, poi, che l’idea della “rieducazione” rievoca spettri impronunciabili, a parte il fatto che avrebbero potuto anche evitare de-portazioni a oltre 1000 km e a oltre 1200 metri di altezza (magari “rieducandoli” nelle loro zone di origine), a parte il fatto che dal numero di ospedalizzati, di morti, di fughe e di rivolte avrebbero potuto dedurre che forse non era il caso di insistere per tanti anni (e ben oltre quel 1862-data semi/fake usata da Barbero per chiudere le sue ricerche con lacune che saranno presto evidenti nel libro di cui sopra), a parte il fatto che Esposito avrebbe potuto chiedere lumi a Barbero in merito ai misteri di quei 40.000 soldati attestati a Fenestrelle non dai neoborbonici ma dai Carabinieri nel loro museo in epoca fascista, Esposito si risponde da solo quando, nella stessa pagina, scrive che “la maggior parte di quei soldati rifiutò [di essere inquadrata nel nuovo esercito] avendo giurato fedeltà a Francesco II”. Qui Esposito, però, non si chiede e non chiede neanche a Barbero quale fosse la sorte di quei soldati visto che non volevano essere rieducati e inquadrati e i sabaudi volevano “solo” rieducarli e inquadrarli. Forse, allora, a Fenestrelle non c’era un cartello con la scritta “campo di sterminio” ma quel forte lo diventò e non fu neanche l’unico caso.
Da notare anche qualche “distrazione” come quando riferisce ai neoborbonici la tesi “con 7 secoli di storia potevamo dirci neogreci, neoangioini o neoaragonesi” ma (senza leggere il testo riportato da circa 20 anni sul sito dei neoborbonici e limitandosi a cercare la notizia dal web) ci ricorda che i secoli, “partendo dai Greci sarebbero 28” (io ho scritto 3 libri sulla storia di Napoli e non ho mai parlato di “7 secoli”).
Nel libro contro le fake anche un’altra mezza fake: quella secondo la quale in Italia nessuno emigrava fino al 1860. Esposito forse non ha letto i testi che attestano emigrazioni consistenti (tra gli altri) di Comaschi, Genovesi e Parmigiani con cronisti che arrivarono a parlare di “fanatismo migratorio” (G. Goyau, M. Porcella, F. Bellazzi, G, Calzolari, tra gli altri).
Non è affatto vero, poi, che Aprile “peraltro non ha fatto alcuna ricerca diretta ma ha riassunto con toni vivaci quanto è stato scritto sul tema dal 1993 in poi” (Aprile non inserisce note ma riporta nei testi le sue tante fonti frutto anche di ricerche complesse) e non è vero che Terroni “riassume gli errori e le inesattezze della storiografia fai-da-te” e che “Pino Aprile cade in fallo” perché sottovaluterebbe il fatto che “anche un solo scivolone rischia di inquinare il resto” (e fa l’esempio –sbagliato- di Fenestrelle che non era un luogo di sterminio) e non è accettabile neanche l’altra tesi su Aprile: da un lato, infatti, Esposito scrive che con il suo Terroni “sempre più meridionali si sono liberati del senso di minorità”, dall’altro, però, in virtù della sua mancata “autocritica”, “chi legge quel libro prende per buone tutte le affermazioni e qualcuno anzi, come in un gioco al rialzo, si attiva in rete e magari aggiunge altro di suo e il rischio è che l’informazione inesatta o esagerata abbia l’effetto della mela marcia e spinga a buttare l’intera cesta”. Ovvio che Aprile non possa rispondere di quello che fanno i suoi lettori (se scrivo che Mertens non ha giocato bene non sarà colpa mia se qualcuno gli buca le ruote del motorino) così come… scagli la prima pietra uno scrittore infallibile.
Surreale la denuncia della fake news relativa alla frase di Bombrini (“I meridionali non dovranno più essere in grado di intraprendere”) perché, premesso che io nei miei libri non l’ho mai usata (amo le fonti da quando mi specializzai in archivistica), se è vero che (finora) non c’è una fonte che la documenti, è altrettanto vero (e lo specifica poche righe dopo) che Bombrini fece una lunga e articolata serie di scelte che potrebbero essere sintetizzate in maniera esemplare in quella frase, come attestano le eccezionali ricerche del grande Nicola Zitara. Dopo oltre un secolo e mezzo di silenzi omertosi e colpevoli (e dannosi) sulle politiche antimeridionali uno slogan e una locandina su facebook possono essere più efficaci di 100 libri soprattutto se sintetizzano una loro intrinseca e profonda verità.
Surreale anche un’altra delle tesi del libro: “non siamo ancora in un tempo pacificato”. Esatto. Ma per il motivo contrario: qui al Sud, nell’opera di ricostruzione di identità e di liberazione dal senso di minorità, siamo ancora all’anno zero e semplificazioni o anche e addirittura esagerazioni (legittime dopo 150 anni di umiliazioni) sono più che mai preziose. E forse abbiamo ancora più bisogno di orgoglio che di “maestrine con le penne rosse” pronte a bacchettare questo o quel passaggio (è un lusso che, forse, ci potremo permettere tra qualche anno). A meno che qualcuno non pensi che questo processo sia già concluso (e non è concluso affatto, come dimostrano le politiche antimeridionali di questi anni e che nel libro sono anche sintetizzate). A meno che qualcuno non pensi che questo processo non serva (e allora, forse, non ama davvero il Sud e non vuole davvero risolvere le questioni meridionali) e non ci meraviglieremmo molto se questo libro (soprattutto per le parti nelle quali in fondo sostiene che “è tutta colpa del Sud”) avrà molti spazi televisivi e giornalistici e venderà le sue brave copie… E magari in questo tipo di discorso rientrano anche certi titoli (quello più adatto, in questo caso, forse, era un più equilibrato e coerente con i contenuti “Fake Sud e Nord”, così come all’epoca “I prigionieri dei Savoia” di Barbero poteva far pensare ad una denuncia delle malefatte sabaude).
In conclusione (evitiamo di ripetere la formula usata da Barbero per iniziare la sua prefazione perché non riusciamo a capirla bene: “Nella conclusione a questo libro Esposito racconta…”), non possiamo non rilevare che Esposito forse per la prima volta parla del passato in un suo libro e ha scelto una strada (secondo il nostro parere personale) non del tutto felice, sia per la scelta della prefazione (e dei toni) che per diverse notizie riportate nel testo. Di fronte a oltre 150 anni di bugie (quelle sì tutte contro il Sud), di fronte a quei “400 gruppi facebook antimeridionali” (quelli sì carichi di un razzismo pericoloso), di fronte all’avanzare di una Lega (sempre) Nord (quella che condiziona non la “mentalità” ma la politica da decenni, quella che porta in giro odio vero e simboli di personaggi storici medioevali inventati sui quali, però, non ci risultano, ad esempio libri, articoli e premesse “infuriate” di Barbero che tra l’altro è anche medioevalista), di fronte all’avanzare di quel “partito unico del Nord” (che non si è mai messo e non si metterà mai a cavillare sui suoi aderenti e a cercare vie politicamente corrette), pur lusingati dallo spazio e dall’importanza attribuitaci in questo libro, ci auguriamo che il prossimo libro di Esposito e Barbero possa evitare di offendere o andare a cavillare tra libri e siti neoborbonici rivolgendo le loro attenzioni altrove (un altrove molto vasto a partire magari da tante storie-fake risorgimentali).
Prof. Gennaro De Crescenzo
Napoli 6 ottobre 2020