E’ senz’altro vero che la perdita di biodiversità porta a gravi squilibri tra le specie, con migrazioni di insetti e microorganismi e con la possibile conseguente diffusione di pandemie, causate con ogni probabilità anche da una pressione antropica sproporzionata, con appunto l’uomo al centro di questo processo. Difatti l’impatto dell’uomo sul pianeta è stato talmente forte che in pochi anni si è riusciti a modificare un equilibrio naturale, stravolgendolo e mettendo in pericolo anche la sua stessa esistenza e il rapporto con la natura che lo circonda. Un aspetto che, di contro, si è venuto a creare con la diffusione di questa nuova tipologia di Virus così letale e aggressivo, denominato Covid-19 o più comunemente Coronavirus, è rappresentato dall’abbattimento drastico di emissioni inquinanti in buona parte del territorio cinese, dove si è generata e diffusa questa nuova pandemia. Difatti l’insieme della riduzione di inquinanti in atmosfera dovuti alla chiusura delle fabbriche, che lavorano con ritmi che non superano il 30% della normale operatività e della piena riduzione del trasporto privato, ha comportato un abbattimento pressoché totale dell’insieme degli inquinanti normalmente prodotti e che giacevano in atmosfera, come anche puntualmente documentato dall’Agenzia Spaziale Europea. E’ riconosciuto oramai che l’emergenza “smog” genera ad esempio in Italia circa 76.200 morti l’anno a causa della concentrazione di biossido d’azoto, ozono e particolato fine (i c.d. pm10/pm2,5) ed oramai risulta chiaro a tutti i medici che la medicina e le malattie di cui si occupano oggi è totalmente cambiata rispetto a non più di trenta anni fa, difatti i medici non devono preoccuparsi soltanto di curare i malati e predisporre i vaccini, ma preventivamente dovrebbero assumersi il coraggio di schierarsi totalmente e con vigore al fianco di tutta la scienza mondiale che da tempo certifica, inascoltata, il cambiamento dell’equilibrio ambientale e quindi della vita del nostro pianeta. In questi giorni uno studio pone una correlazione tra le zone dell’Italia dove si è sviluppata più virulenta l’infezione da Coronavirus, e le concentrazioni di inquinanti, sopratutto relativi al pm10, registrato in un arco temporale grazie alle centraline delle Agenzie Regionali Protezione Ambientale presenti nelle Regioni e che va dalla metà di febbraio ai primi giorni di marzo. Ebbene sembra che i virus si attacchino (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle che sono in grado di rimanere in atmosfera diversi giorni e che possono essere trasportate anche per lunghe distanze. In Pianura Padana appunto si è avuta ad oggi una maggiore espansione del virus, lì dove vi sono maggiori e più prolungate concentrazioni di polveri sottili. L’auspico è che al termine di questa pandemia probabilmente l’umanità riuscirà a comprendere alcuni errori e possa adoperarsi per migliorare le generali condizioni di vita.

Luca Monsurrò