PONTELANDOLFO E CASALDUNI: RISPETTO PER LA NOSTRA STORIA! LA CICponteLICA E STRANA PUBBLICAZIONE DEL “NEGAZIONISTA” DESIDERIO SUL “CORRIERE”. Ogni tanto qualcuno tenta (inutilmente) di ridimensionare le conseguenze dell’unificazione italiana ai danni del Sud e anche il numero delle relative vittime. È il caso di Giancristiano Desiderio che, ciclicamente, ripropone un suo articolo con la stessa tesi e lo stesso titolo (“A Pontelanfolfo solo 13 morti”: per l’ennesima volta sul Corriere, in questo caso su “La lettura” del 25/3/18). L’obiettivo? Fronteggiare “il tentativo neoborbonico di delegittimare l’unità d’Italia” (bastava chiedere ai neoborbonici: nessun tentativo di questo tipo ma solo -dopo 150 anni- cercare di riscrivere la storia dell’unificazione senza censure e senza retoriche vetero-risorgimentaliste). Le fonti? Sempre le stesse: i registri parrocchiali; una lettera di una signora “originaria di Pontelandolfo ma residente (a circa 10 km!) a Campolattaro”; le relazioni di un sacerdote e di un sergente sabaudo a poche ore dai fatti (evidentemente senza la consapevolezza di quello che poteva essere accaduto in tutti i luoghi -e anche dopo- e pure con un’aggravante: che cosa avrebbe potuto fare un soldato se non minimizzare quello che avevano fatto i suoi colleghi?). Altro che “filologia” contrapposta alla “ideologia” (lo scrive Desiderio ma poi non lo applica nei suoi studi). Nessun tentativo, da parte dei “negazionisti”, di aggiornare le proprie fonti o anche di confrontarle con quelle degli altri (o anche semplicemente leggerle). Non si risponde nel merito (se non alle mie repliche spesso pubblicate sugli stesso giornali) alle recenti ricerche di Gigi Di Fiore. Si cita Pino Aprile per il suo “Terroni” (2010) ma non si risponde alle sue nuove (e inedite) ricerche (“Carnefici”, 2016): confrontando i dati del Dicastero Interno e Polizia relativi agli abitanti addirittura pochi giorni prima della strage del 14 agosto 1861 con quelli successivi, Aprile evidenzia l’assenza di 1463 persone (non tutte morte ma di sicuro un segnale di un dramma avvenuto in quei giorni). Non si risponde al dato che gli archivi parrocchiali (e tutti gli altri archivi) conservano percentuali minime dei documenti prodotti (specie in condizioni non ordinarie come quelle dei giorni tragici del 1861), non si risponde alle testimonianze dirette e drammatiche del bersagliere Carlo Margolfo con la descrizione di quei “poveracci abbrustoliti nelle loro case” o del Popolo d’Italia (che attesta 164 vittime) o dello stesso sacerdote locale Panella che parlava (anche con i dati delle tante vittime ricercate e uccise dopo il 14 agosto in tutta l’area) di “centinaia di vittime”. Non si tiene conto delle scuse ufficiali dell’Italia a Pontelandolfo (v. articolo di Stella e Rizzo nel 2011 proprio sul Corriere e poi ancora di Stella, sempre sul Corriere) e neanche dei paragoni che tanti hanno operato tra i sabaudi e i nazisti (v. non Aprile ma Mieli sempre sul Corriere, nel 2003). Si evita, inoltre, di approfondire le (vere) motivazioni di quella strage. La Civiltà Cattolica nel 1861 così descrive fatti confermati anche dalla logica e da ulteriori fonti: “Il saccheggio e la distruzione delle borgate compierono l’opera italiana. I soldati di Pinelli avevano fieramente manomesse alcune terre a breve distanza da Pontelandolfo, commettendovi atrocità orribili contro pacifici abitanti designati loro come reazionarii. Mossero quindi una quarantina di essi a Pontelandolfo. La voce della loro scelleratezza ve li avea precorsi e un furore di vendetta sospinse loro addosso la popolazione che tutti li scerpò, salvandosi un solo sergente che ne recò notizia a’ Piemontesi. Il Cialdini avviò subito colà il Colonnello Negri con un battaglione di bersaglieri ed altra milizia con artiglierie, si trassero bombe e granate, poi si venne all’assalto” (La Civiltà Cattolica, Anno Duodecimo, Vol. XI della Serie Quarta, Roma, All’Uffizio della Civiltà Cattolica, 1861, p. 618). È l’Osservatore Romano (19/8/1861) a confermare la notizia del massacro (da parte dei sabaudi) di “dieci persone torturate per 15 ore”. Se la popolazione, allora (“vecchi, donne e fanciulli” e non “briganti”), dopo una sorta di vero e proprio “processo popolare”, decide di fare “scempio” di quegli uomini non era perché era una popolazione crudele e selvaggia (non lo era mai stata, del resto, nella sua plurisecolare storia). Qualcuno, allora, vorrebbe a tutti i costi giustificare (13, 100 o 1000 morti sarebbe anche secondario) una rappresaglia vergognosa. Una rappresaglia e un massacro (sempre bene ricordarlo) che non erano affatto isolati se pensiamo alla vicina Casalduni e alle decine di Paesi a cui toccò la stessa sorte in tutto il Sud con (tra fucilati, uccisi negli scontri, feriti, incarcerati o deportati) centinaia di migliaia di vittime complessive. E basterebbe citare la relazione del ministro Manna al re sul primo censimento (1861): lì si legge che, rispetto ai dati demografici del 1860 e ai tassi di crescita annuale della popolazione, “a causa della guerra” si erano trovate 458.000 persone in meno… “Tutta colpa del Sud”, allora (sempre e comunque), le questioni meridionali, per gli storici “ufficiali” da oltre 150 anni, secondo uno schema più che mai drammatico e attuale e che punta a giustificare le colpe di classi dirigenti nazionali e locali (altro che i “neoborbonici” che negli ultimi non sono mai stati classi dirigenti). “Tutta colpa del Sud”, allora, anche e addirittura le tragedie di Pontelandolfo. È questo lo slogan per continuare a ignorare il Sud e a cancellarlo dalle agende di governo e anche per avere carriere e successi assicurati e magari pure grandi articoli su grandi giornali. Appuntamento alla prossima pubblicazione dello stesso articolo di Desiderio…
Prof. Gennaro De Crescenzo