Mettete al sicuro i bambini, nascondete la notizia ai vecchi, cercate le parole per dirlo alle donne, premunite i deboli di cuore: quella terribile setta che muove le fila delle in altri tempi note come Forze Oscure della Reazione è venuta allo scoperto. È appena approdato nelle librerie un libro che ne racconta la nascita e le gesta: “Noi, i Neoborbonici! – Storie di orgoglio meridionale”, edito da Magenes. Gli angeli hanno pianto, la terra ha tremato… (non è vero? Beh, abbiate pazienza e vedrete che succederà; di sicuro qualche prof che vi dirà che succede esce, esce…). L’autore è quanto di più attendibile possa esserci, sul tema: il professor Gennaro De Crescenzo, fondatore del Movimento, 23 anni fa, con Riccardo Pazzaglia (sì, quello del “Brodo primordiale”, che le cose le sapeva davvero, ne sapeva tante e le raccontava con leggerezza; ed era un napoletano al cubo) e altri. Chi sono i Neoborbonici? Un’associazione, un movimento culturale che non riceve soldi da nessuno, se non da chi ne fa parte o vuole occasionalmente contribuire a ricerche d’archivio, acquisto di testi e materiali di documentazione; non si sono mai candidati a nulla né hanno accettato candidature, nonostante possano contare su bacini di attenzione valutabili in almeno decine di migliaia di persone; si sono dati la regola di non votare e non farsi votare e di spendere tutte le loro energie al recupero della storia negata del Sud. Ciò nonostante (o proprio per questo) i trombettieri di regime li additano quale pericolo mortale per la democrazia, perché aspirano a ripristinare il Regno delle Due Sicilie e il trono dei Borbone. Non è vero, ma non importa: intanto lo dicono. Lo scalmanato medievalista Alessandro Barbero ha persino scritto, in un libro con cui “dimostrò” che la fortezza di Fenestrelle, il carcere di massima punizione del sistema sabaudo, La Siberia d’Occidente, era una sorta di club Mediterranéé, che il revisionismo storico a cui (anche) i neoborbonici si dedicano ha “fini politici immondi”, quando non sono impegnati, i neoborbonici, nell’ordire agguati ai danni di Barbero, per impedire la presentazione di libri suoi o di “nativi” terronici a guida barberica (gira voce che l’ultima volta un neoborbonico-kamikaze con un giubbotto imbottito di candelotti o babà, la cosa non fu chiarita, riuscì a fuggire prima di essere catturato dai bersaglieri). Certo è che il professor Barbero corre rischi seri: di caricatura. Proprio su Fenestrelle, sfidò a un pubblico confronto De Crescenzo e ne uscì malconcio (il presidente dei Neoborbonici ne parla ampiamente in un altro suo libro “Il Sud. Dalla Borbonia felix al carcere di Fenestrelle”). Da quando il potere marcio allo sbando ha scoperto l’esistenza dei neoborbonici, ne ha fatto un uso spudorato, moltiplicandoli, con autorevoli allarmi lanciati soprattutto dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno e della sera (pomeriggio libero). Qualunque cosa ostacolasse il percorso delle magnifiche sorti e progressive, che magnifiche non si sono rivelate a Sud, e anzi regressive, la colpa è dei neoborbonici. Non esistessero, avrebbero dovuto inventarli! Credo che i neoborbonici potrebbero chiedere di essere pagati per fornire una giustificazione buona per tutto (De Crescenzo racconta con leggerezza queste vicende, il che mi permette il tono scanzonato. E, d’altra parte, come fai a prenderli sul serio questi custodi del bidone masson-accademico minacciato dalle orde di lazzari e tamarri del terzo millennio!). A quel punto, cominciò la moltiplicazione dei neoborbonici: chiunque non aderisse alla vulgata risorgimentale filo-sabauda, diventava di fatto, neoborbonico. Ne sbucano, ormai, da tutte le parti: moltitudini. Ho altrove riferito di un collega che mi disse: «Sei neoborbonico». «No», risposi, «sono amico di molti di loro, apprezzo il loro lavoro di ricerca storica, ma non sono neoborbonico. Non che ci sia qualcosa di male, ma non lo sono». «Lo sei», replicò lui, «te lo dico io». «Parli bene l’italiano, anche se sei turco», ribattei, allora. «Ma che dici? Sono italiano!». «Sei turco, te lo dico io», conclusi. Perché se questo è il filo logico che guida l’analisi del neoborbonismo… Ma così accade ogni volta che le cose vengono giudicate per sentito dire. Per questo la lettura del nuovo libro di De Crescenzo è consigliabile a tutti: chi ne sa già qualcosa, perché il corposo volume di 330 pagine è una sorta di serena confessione documentata, con aneddoti, episodi che aiutano a inquadrare meglio quello che si sa; e soprattutto, dovrebbero leggerlo quelli che credono non ci sia altro da sapere. Rimarrete sorpresi dalla pacatezza (il che non indebolisce la decisione) dei ragionamenti, la saggezza. Ed è un racconto onesto, in cui troverete commozione, entusiasmo, rabbia, speranza e una convinzione che governa il tutto: il recupero della verità su come andarono davvero le cose, nell’unificazione d’Italia, e sul danno che si fece e da allora si fa, al Sud, sarà la base per la nascita di una classe dirigente meridionale più sana e consapevole, non più coloniale. Quando, con Riccardo Pazzaglia, decisero di darsi appuntamento con quanti intendessero dar vita a un gruppo di ricerca storica, speravano arrivasse qualche altro, a parte loro due, e si ritrovarono in 400. Oggi gli iscritti alla loro rete di informazione online sono più di ventimila, i visitatori del loro sito hanno raggiunto il milione e mezzo; e seimila le pagine di giornali che si sono occupati di loro. Eppure, i neoborbonici restano qualcosa di temibile e misterioso, nonostante le apparenze antropomorfe (narici: due; dispongono di braccia e gambe a coppie, come gli esemplari della luminosa specie homo sapiens, a cui appartengono gli inarrivabili Trota, Salvini e Santanchè). Con questo libro, finalmente, la misteriosa tribù dei neoborbonici ha un volto e una biografia; non si tratta di una confessione, ma di una vera e propria delazione, con decine e decine di nomi: Roberto Maria Selvaggi, Alessandro Romano, Salvatore Lanza, Lorenzo Terzi, Eduardo Spagnuolo, Scipione Friguglietti, Raffaele Gargiulo, Gabriele Marzocco, Giosuè Coppola, Luigi Capuano, Filomena Rinaldi, Vincenzo Gulì, Salvatore Argenio, Annamaria Pisapia, Fiore Marro, Pasquale e Franco Zavaglia, Gennaro Pisco, Francesco De Crescenzo, Pompeo De Chiara… Da quell’inizio a sorpresa, il racconto di De Crescenzo mostra come, mentre diversi dei fondatori passavano a miglior vita e altri sceglievano di dare origine a esperienze differenti, associazioni dello stesso segno, la platea si è allargata sino a costituire una preoccupazione e poi un pericolo per il potere che ha ingessato, a uso del vincitore, la storia dell’unificazione di questo Paese. Le ricerche dei neoborbonici hanno prodotto decine di libri che sono divenuti attendibili fonti di riferimento per tanti altri, specie per opere di divulgazione. Il che ha sottratto il monopolio del racconto ai “padroni della storia costruita ufficiale”. L’opera di revisione e ricostruzione storica attiva oggi un mercato editoriale di centinaia di migliaia di copie all’anno. Fenomeno dirompente e imprevedibile da cui discendono ogni anno centinaia di manifestazioni, convegni, dibattiti in Italia e all’estero, specie negli Stati Uniti (a New York, alla Colombia university si è tenuto un seminario sui neoborbonici, con docenti americani e italiani). Al punto che il professor Galli della Loggia ha scritto, sull’edizione terrona del Corriere della sera, che ormai nelle scuole è prevalente l’idea che l’unificazione d’Italia non è andata come la si racconta da un secolo e mezzo, negli addomesticati libri di testo. A questa vittoria culturale, cui tantissimo hanno contribuito i neoborbonici (insieme a Carlo Alianello, Nicola Zitara ed altri) corrisponde un crescente potere di influenza. De Crescenzo narra quale esito hanno ottenuto le campagne di boicottaggio da loro lanciate nei riguardi di giornalisti e giornali che si sono fatti portavoce coscienti o involontari di pregiudizi, razzismo, nei confronti dei meridionali. Da Aldo Ca
zzullo al telecronista Rai (poi licenziato) della domanda su “i napoletani puzzano?”, la stampa italiana ha sperimentato con stupore la vastità dell’ascolto che gli inviti dei neoborbonici riescono a ottenere; e altrettanto è accaduto ad aziende la cui pubblicità andava in onda in trasmissioni ormai noiosamente anti-meridionali come La Zanzara su Radio24 o L’Arena di Massimo Giletti, su Rai1. “Noi, i Neoborbonici” smonta una caterva di luoghi comuni e leggende spacciate per storia (De Crescenzo è autore di documentatissimi libri sulla consistenza dell’industria meridionale, prima che i piemontesi la distruggessero; sulla biografia taciuta di Garibaldi; sul 1799 giacobino smitizzato. Ricerche che compaiono, in sintesi, nella seconda parte del nuovo libro, in una sorta di manuale, ricco di dati, sulla Questione meridionale, spezzettata in quindici domande, cui seguono risposte utili a chiunque per replicare con sicurezza a chi continuasse a spacciare fiabe antimeridionali per storia). Ma la sintesi di questo importante libro è nell’aneddoto con cui comincia e che De Crescenzo riferisce, quasi a ogni conferenza: una ragazzina, dopo averlo ascoltato, a scuola, su cos’era il Sud, prima che lo colonizzassero, lo raggiunse e gli disse: «Tutto l’orgoglio che ci hai raccontato stamattina, lo conservo e lo racconto a mia figlia». Avete tutto il diritto di parlar male dei neoborbonici e di pensarne peggio («Fra noi c’è di tutto», spiega De Crescenzo, «non siamo monarchici, non siamo nostalgici, non siamo reazionari, vogliamo solo che si sappia come andarono le cose»). Ma fatelo a ragion veduta: cercate di capire chi sono e leggete questo libro. Poi, magari, avrete più argomenti per non apprezzarli, o potreste scoprire interlocutori seri e disponibili, che sostengono le loro ragioni, ma sono abituati a confrontarle con quelle degli altri. Visto che ci siete: contate le narici. Metti che mi fossi sbagliato…

PINO APRILE