Semel in anno licet insanire. Una locuzione  latina  che ci ricorda che sin dai tempi più antichi c’era un periodo dell’anno in cui tutti erano autorizzati a non rispettare le regole, le convenzioni sociali e religiose e  a comportarsi come se si fosse altre persone. Un  rito liberatorio per  prepararsi in modo gioioso all’adempimento dei propri normali doveri sociali, attraverso un rinnovamento simbolico durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però, esaurito il periodo festivo, riemergeva  rinnovato e garantito per un nuovo ciclo, coincidente con l’anno solare, fino al carnevale seguente. Dalle antiche  Dionisiache greche ai  saturnali romani, in cui si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciare il posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza ,  fino alla tradizione cattolica , in cui il carnem levare indicava l’ultimo banchetto subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima, il Carnevale ha sempre rappresentato un momento di allegria , di sregolatezza e trasgressione, anche e soprattutto nel cibo. Infatti tutto si può dire sulle preparazioni culinarie del Carnevale tranne che siano semplici e leggere. A cominciare dalla suntuosa lasagna, una preparazione che è un trionfo di sfoglie di pasta,  ragù,  polpette di carne, salsicce e ricotta, per finire ai dolci, da sempre simboli della festa, e a tutte le altre antiche ricette popolari carnascialesche, legate quasi sempre ai festeggiamenti in onore dell’uccisione del maiale, del quale, come è noto, ”non si butta niente”, neanche il sangue. Ed è proprio col sangue di maiale che si preparava una delle più caratteristiche ricette di Carnevale il sanguinaccio: una ricca crema a base di  cioccolato fondente, latte, uova, zucchero, farina , cacao  e sangue di maiale, guarnita con canditi di frutta e praline di cioccolato. Oggi, per motivi di carattere igienico, il sanguinaccio viene preparato e venduto esclusivamente in una variante che non prevede l’utilizzo del sangue di maiale, di cui è rimasta l’idea solo nel nome. Accompagnano, anzi  si affondano nel sanguinaccio le chiacchiere, deliziosi dolci fritti, allegri come il Carnevale, di  una consistenza ed una forma molto particolari: tenere e friabili, fatte con farina, uova, zucchero, acqua e, nella tradizione campana, da uno spruzzo di liquore Strega, sono tagliate irregolarmente a strisce, intrecciate in vario modo, fritte e spolverate con abbondante zucchero a velo. Esiste anche una  versione al forno , senz’atro più sana, ma forse meno buona. Le chiacchiere non sono, però, una specialità solo della nostra regione, si trovano in ogni parte d’Italia  similari con i nomi più svariati: a Roma sono le frappe, in Veneto le gale o galani, in Toscana sono i cenci o le donzelle, le sfrappole in Emilia, le lattughe in Lombardia; così come in tutta Italia si trovano versioni di un altro dolce tipico del periodo di Carnevale le castagnole, dolci palline fritte, con un interno di cioccolato o di marmellata, ricoperte di zucchero. Più tipicamente campano, anche se ormai un po’ dimenticato, c è un altro dolce di Carnevale: il migliaccio; fatto anticamente con la farina di miglio, ora con semolino, è una ricetta semplice, ma intensamente profumata d’arancia , cannella e vaniglia.

Brunella Mercadante