DUE SICILIE: DE MAGISTRIS, STRADE PER TUTTI MA NON PER I BORBONE

 

(Lettera Napoletana) Sta raccogliendo ampie adesioni la proposta rivolta dalla Fondazione Il Giglio e sostenuta dal Movimento Neoborbonico al sindaco Luigi De Magistris di intitolare una piazza o una strada importante di Napoli al Re Ferdinando II, il sovrano dei primati e di Napoli grande capitale europea, che incredibilmente non è ricordato nella toponomastica cittadina e neanche da un monumento.!cid_image008_gif@01CFACA1

Centinaia di e-mail con la richiesta sono state già inviate a De Magistris ed è ancora possibile farlo. Da parte sua, l’ex pm ha annunciato che lo slargo tra Via Toledo e Via Diaz, in pieno centro, sarà intitolato all’ex segretario del Pci Enrico Berlinguer (la Repubblica, 1.7.2014), mentre prossimamente “una strada, una piazza o un giardino di Napoli” saranno intitolati al beatles John Lennon. Una richiesta in questo senso è già stata avanzata dal sindaco alla Commissione Toponomastica del Comune, che l’ha accolta (Roma, 1.7.2014).

Dietro la scelta di intitolare a Berlinguer lo slargo di Toledo c’è la manovra di avvicinamento di De Magistris al Pd, più precisamente all’ala vetero-comunista del partito, per ottenerne il sostegno alla ricandidatura. A Napoli si voterà nel 2016 per il consiglio comunale. La proposta di intitolare al dirigente comunista una piazza della città è venuta dal consigliere comunale del Pd Antonio Borriello, un ex dirigente del Partito comunista legato a Bassolino, ed è stata immediatamente accolta.

Meno chiara l’origine della scelta di intestare una strada anche a Lennon, altrettanto estraneo alla storia di Napoli (ma c’è mai stato?) di Berlinguer, ma si tratta probabilmente del tentativo di catturare consensi elettorali nelle fasce di pubblico ancora legate alla subcultura musicale degli anni ’70-80, ed alle ideologie del tempo, tra le quali ancora si conta qualche irriducibile sostenitore dell’ex pm.

Alle centinaia di napoletani che gli hanno scritto De Magistris non ha risposto, ma su Facebook ha tentato di farlo un suo uomo di fiducia, Andrea Balia, esponente di un micro-partito che si autodefinisce “Partito del Sud”, nominato dal sindaco suo delegato nella Commissione Toponomastica cittadina. “La Commissione – ha scritto il delegato di De Magistris – ha due direttive prioritarie: identità e femminile (sic), e questo si sta facendo (…). Non siamo però in un regime – prosegue Balia – per cui come nel ventennio si facevano i monumenti al fascio, o in Russia le statue e i mausolei a Lenin, ora i neoborbonici pretendono l’apologia ai Borbone”.

Difficile concentrare in poche righe tante contraddizioni e luoghi comuni. La priorità è l’identità? Ma quale, se si nega una piazza ad un grande simbolo dell’identità del Sud, come Ferdinando II? La priorità è “femminile” (il delegato del sindaco si riferisce alla cosiddetta parità di genere). È una sua pretesa, subalterna all’ideologia del gender, ma anche ammettendo che sia così perché allora non dedicare una strada alla Regina Maria Sofia, eroina di Gaeta, e perché non ripristinare per l’attuale corso Vittorio Emanuele, l’originaria denominazione di Corso Maria Teresa? Difficile avere risposte congrue da De Magistris e dai suoi attaché, qualcuno dei quali si definisce “meridionalista” (!!!). Ma la battaglia continua. (LN78/14)

D.M.

 

Manda una e-mail al sindaco De Magistris per una piazza a Ferdinando II di Borbone II

 

 

 

 

BATTAGLIA DELLE IDEE: “LE SERATE DI PIETROBURGO” TORNA IN LIBRERIA

 

(Lettera Napoletana) Torna in libreria “Le serate di San Pietroburgo, di Joseph de Maistre. Il grande classico del pensiero contro-rivoluzionario, era indisponibile da circa 30 anni. L’ultima edizione risaliva al 1971 per la collana “Tradizione” della Rusconi Editore. Un’edizione di pregio, a cura di Alfredo Cattabiani.

Ora le Edizioni Fede & Cultura (Verona, 2014 pp. 398, 28) lo ripropongono nella collana “I classici della Tradizione”.

“Le serate di San Pietroburgo”, sottotitolo “Colloqui sul governo temporale della Provvidenza” appartengono al ristretto numero di libri capaci di orientare la formazione di un lettore, e di provocare una “riforma intellettuale”. In 11 Conversazioni ambientate a San Pietroburgo, dove Maistre fu ambasciatore del Regno di Sardegna dal 1803 al 1817, tre personaggi: il Conte, nel quale, con ogni probabilità, l’autore rispecchia le sue convinzioni, il Cavaliere, un nobile francese esiliato dalla Rivoluzione, ed il Senatore, un aristocratico russo di religione ortodossa, discutono dell’intervento della Provvidenza nella storia, del peccato, del male, del Cristianesimo. Lucido, dotato di uno stile brillante, efficace polemista, Joseph de Maistre redige un manifesto anti-illuminista ed anti-razionalista, un capolavoro di apologetica, con una cifra di scrittura che appartiene solo ai grandi autori classici. Voltaire, Rousseau, Bacone, Locke, gli Enciclopedisti vengono confutati dalle argomentazioni del Conte, esposte con una dialettica di grande efficacia e con il supporto di note e riferimenti. Dubbi ed obiezioni vengono proposti dai due interlocutori in forma di dialogo, contribuendo a rendere piacevole la lettura.

Diventa così affascinante l’esposizione della tesi maistriana sui selvaggi come popoli decaduti, non primitivi. È l’esatto contrario del mito del “buon selvaggio” di Rousseau. E l’autore della Serate la dimostra con una dotta analisi comparativa dei linguaggi. Le lingue dei selvaggi – osserva – sono frammenti di antichi idiomi, non abbozzi di linguaggi futuri.

Pensatore non sistematico ma di grande profondità, capace di intuire la portata epocale della Rivoluzione francese, nel suo “Considerazioni sulla Francia”, uscito pochi anni gli avvenimenti del 1789, un pamphlet ripubblicato dall’Editoriale Il Giglio (Napoli 2010), Joseph de Maistre è uno dei grandi maestri della scuola cattolica contro-rivoluzionaria ed uno dei grandi del pensiero tout-court, come gli riconoscono perfino gli avversari, affascinati dalla sua scrittura.

Le Serate” sono un livre de chevet, un’eccellente lettura per l’estate. Per disintossicarsi dalle scorie del pensiero unico laico-razionalista, per rifornirsi di contenuti nella battaglia delle idee. (LN78/14)

 

Ordina ora:

– “Le serate di San Pietroburgo” di Joseph de Maistre (Fede&Cultura, Verona 2014, pp. 398 28,00 + spese spedizione).

– “Considerazioni sulla Francia” di Joseph de Maistre (Editoriale Il Giglio, Napoli 2010, pp. 152, 15,00 + + spese spedizione).

– “La contro-rivoluzione” seminario di formazione di Fraternità Cattolica 2009, con la relazione su Joseph de Maistre 5,00.

 

 

DUE SICILIE: COME I BORBONE REALIZZAVANO LE OPERE PUBBLICHE

 

(Lettera Napoletana) Nel 1806, sotto il governo di Ferdinando I di Borbone, il Regno delle Due Sicilie disponeva di strade per 594 miglia napoletane, unità di misura in vigore a Napoli corrispondenti a 1092 chilometri. Il decennio francese ed il regno di Gioacchino Murat (1806-1815), abitualmente magnificati dalla storiografia risorgimentale per le opere pubbliche realizzate, aumentarono il totale di appena 64 miglia napoletane, poco più di 117 chilometri. Al ritorno di Ferdinando I sul trono le opere pubbliche ripresero con vigore e nel 1828, sotto il regno di Francesco I, il totale delle strade consolari (cioè principali) e provinciali del Regno ammontava a 1506 miglia (circa 1943 km), con un aumento in 12 anni di 846 miglia (1156 km).

Nel 1855, cinque anni prima della fine, il Regno disponeva di 8444 chilometri di strade (4587 miglia napoletane) sul territorio continentale, senza contare quelle della Sicilia.

I dati, di fonte ufficiale, sono contenuti in opuscolo pubblicato dal governo borbonico nel 1857, “Cenno storico delle opere pubbliche eseguite nel Regno di Napoli sotto l’augusta dinastia dei Borbone” appena ripubblicato (Stamperia del Valentino, Napoli 2014, pp. 79, 13,00). Un quadro statistico riepiloga le opere pubbliche realizzate nei quattro anni compresi tra il 1852 ed il 1855 “nelle sole provincie al di qua del Faro”: bonifiche, ponti, strade, ferrovie, porti, nuovi stabilimenti industriali, chiese e monasteri, Convitti, Collegi e “stabilimenti di beneficenza”, telegrafo elettrico (il Regno delle Due Sicilie era collegato con gli altri Stati pre-unitari, Piemonte compreso), tribunali, carceri. In quattro anni furono spesi 14 mila 692 ducati, pari a circa 216 mila euro, ma bisogna tenere conto del costo della vita molto più basso. Una giornata di lavoro di un operaio veniva pagata tra i 5 ed i 6,50 euro.

Nessuna delle opere pubbliche realizzate comportò un aumento delle tasse o l’imposizione di nuovi tributi, neanche furono richiesti finanziamenti a privati o emesse obbligazioni di prestito pubblico. Un secondo studio, “Esame del cenno storico delle Opere pubbliche eseguite nel Regno di Napoli sotto l’augusta Dinastia dei Borboni” (Stab. Tip. Di T. Cottrau, Napoli 1857), ripubblicato insieme al “Cenno storico …” precisa: “L’Erario pubblico non ha contratto debiti, mentre l’azienda provinciale e comunale (si noti il termine azienda applicato agli enti locali, n.d.r) ha mantenuto costante l’equilibrio delle sue rendite…”.

Per il governo borbonico, la cui “rendita” (le moderne obbligazioni) era quotata a Parigi al 120%, con uno spread, fino al 1861, inferiore di 140 punti a quello del Piemonte, ed i cui titoli – come ha dimostrato la storica della finanza Stéphanie Collet, dell’Université Libre di Bruxelles – continuarono fino al 1876 ad essere classificati sui mercati come “Italy-Neapolitean”, per distinguerli da quelli molto meno affidabili dell’Italia unificata (cfr. Il Sole-24 Ore, 30.6.2012) era un punto di orgoglio. “Quando le opere pubbliche sorgono splendide e maestose – scrive l’autore anonimo del Cenno storico… – e sono recati a sollecito compimento senza che fosse stato d’uopo di ricorrere ad imposizione di tributi e balzelli straordinari, e senza chiamare a soccorso la moneta de’ privati, e da ultimo senza contrarre novelle obbligazioni (…) è il testimonio più veridico della sapienza governativa e del florido e saggio andamento della pubblica amministrazione”. (LN78/14).

 

Ordina ora il “Cenno storico delle opere pubbliche eseguite nel Regno di Napoli sotto l’augusta dinastia dei Borbone(Stamperia del Valentino, Napoli 2014. p.p. 79, 13,00 + spese postali)

 

 

TRADIZIONE: LA MESSA TRIDENTINA RESISTE E AVANZA

 

(Lettera Napoletana) Oltre 100 persone hanno assistito domenica 27 luglio nella chiesa di S. Anna Gesù e Maria a Bacoli (Napoli) alla Messa celebrata in rito romano antico da Don Roberto Spataro S.D.B. I fedeli hanno assistito con raccoglimento ed hanno partecipato al canto gregoriano che ha accompagnato il rito. Grande attenzione per l’omelia del sacerdote, che ha ricordato come la Messa tradizionale, che è quella degli Apostoli e dei primi cristiani, sia stata anche la Messa di grandi Santi come S. Alfonso e San Giuseppe Moscati. Tra i fedeli c’erano persone di tutte le età e villeggianti del litorale flegreo provenienti da Napoli e da altri punti della Campania.

Dovunque i fedeli riescano ad entrare in contatto con la bellezza del rito tradizionale il gradimento è certo, dal napoletano al Brasile. Ciò nonostante l’ostilità di parte dei vertici della gerarchia cattolica ed il gravissimo provvedimento di divieto di celebrare il Vetus Ordo, salvo espressa autorizzazione del Commissario dell’Ordine, adottato nei confronti dei Frati Francescani dell’Immacolata (11 luglio 2013). I componenti di questo Ordine religioso, ispirato all’autentica spiritualità francescana, celebravano in gran parte il rito tridentino. Contro di loro è stato emesso un persecutorio provvedimento della Congregazione per i religiosi, e contro di loro si manifesta l’ostilità per la Tradizione del Commissario, Padre Fidenzio Volpi. In Italia il divieto di celebrare imposto ai FFI ha comportato la soppressione di più di 20 Messe tridentine, secondo dati dell’associazione Una Voce.

A Rio de Janeiro il movimento “Juventutem, che raccoglie giovani cattolici dai 16 ai 34 anni, partecipa ogni domenica mattina alla Messa in rito tridentino celebrata nell’antica ex Cattedrale, oggi chiesa di Nossa Senhora do Carmo, dove furono incoronati il re del Portogallo Dom Joao VI e l’Imperatore del Brasile Dom Pedro I. La chiesa è affollata, i giovani sono la gran parte del pubblico, un dato che può sorprendere solo chi non conosce la bellezza della Messa di rito romano antico e la sua capacità di attrarre chi è in cerca di spiritualità e di senso del Sacro.

Se ne è accorto il quotidiano di Rio O Globo (27.7.2014), colosso della carta stampata brasiliana, che ha dedicato un servizio ed un video alla Messa tridentina, intervistando i partecipanti. A parte l’ignoranza del redattore di O Globo, che definisce “scene medievali” i comportamenti ( sacerdote che celebra rivolto al Tabernacolo, donne con il velo, comunione in ginocchio, abiti formali), il servizio mostra più meraviglia che ostilità. Quei giovani assorti in preghiera, che parlano di spiritualità, incutono rispetto. Il redattore di “O Globo” li ascolta e li filma.

Le Messe in Rito Tridentino in Brasile, il Paese che negli anni ’70-80 ha avuto i Vescovi più progressisti del mondo, sono ormai un centinaio e dal 2007 – secondo dati dello stesso O Globo – sono aumentate di cinque volte. In tutti i grandi centri è possibile trovare almeno una celebrazione in rito romano antico. Ed a celebrare è la nuova generazione di sacerdoti, compresi in una fascia di età compresa tra i 30 ed i 40 anni. Sono loro i più convinti sostenitori del rito tradizionale. (LN78/14)