Visto da Sud il nuovo governo presieduto da Mario Monti non promette niente di buono. Il prof. Monti è nipote del banchiere Raffaele Mattioli, che fu amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana negli anni ‘30 e ‘40. Mattioli firmò nel 1942 il manifesto costitutivo del Partito d’Azione, erede ideologico del Risorgimento, e fece dell’ufficio studi della Comit il centro di incubazione della classe politica azionista. Monti è un convinto sostenitore del progetto dell’Unione Europea e di uno dei suoi teorici, Altiero Spinelli. Proprio a Spinelli il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che gli ha affidato l’incarico di formare il nuovo governo, si recò a rendere omaggio a Ventotene come primo atto pubblico dopo la sua elezione il 22 maggio 2006. Nel 2010, Monti ha espresso pubblicamente il suo sostegno al Gruppo Spinelli, fondato “per rinvigorire l’idea federalista europea”.
All’Unione Europea aderiscono 27 Paesi, ma la guida effettiva, come dimostrano le vicende di queste settimane, è nelle mani di Germania e Francia. Dominano potenti lobbies finanziarie, che si sono assicurate la libertà di movimenti dei grandi capitali, mentre le piccole imprese e i piccoli risparmiatori privati sono soggetti a controlli vessatori e ad una tassazione esosa. Ai Paesi ed alle regioni del Sud è attribuita la funzione di mercato di sbocco della produzione del Nord-Europa. I ministri scelti da Monti per il suo governo rientrano in questo disegno: banchieri, lobbisti, membri dei più potenti gruppi di pressione internazionale. Monti, presidente per l’Europa della Trilateral Commission e componente del Comitato direttivo del Bilderberg Group, ha annunciato, ma solo adesso, le dimissioni da queste lobbies mondialiste. È forte anche il suo legame con l’alta finanza. Il nuovo presidente del Consiglio è stato fino a poche settimane fa consulente della Goldman Sachs, potente banca d’affari americana fondata alla fine dell’800 da finanzieri ebrei, considerata da molti corresponsabile del crac della Grecia, che aderì all’Euro dopo una falsificazione dei parametri economici ed avrebbe ricevuto, a partire dal 2011, prestiti “nascosti” dalla banca d’affari per ingannare i controllori dell’Ue.
Nel governo guidato da Monti le deleghe più importanti (Sviluppo, Infrastrutture e Trasporti) sono state assegnate al banchiere Corrado Passera, per anni uomo di fiducia del finanziere Carlo De Benedetti in Olivetti e poi nella Cir, poi amministratore delegato del gruppo bancario Intesa-Sanpaolo. Più volte gli uomini di Intesa Sanpaolo hanno espresso la loro ostilità al progetto di una Banca del Sud destinata a finanziare le imprese del Mezzogiorno. Il governo uscente di Silvio Berlusconi aveva – certo, procedendo con esasperante lentezza – varato il piano industriale e la Banca del Mezzogiorno dovrebbe aprire 250 sportelli sul territorio nazionale a gennaio 2012. Adesso toccherà a Passera decidere sul futuro di un istituto di credito concorrente di Intesa San Paolo, che al Sud controlla il Banco di Napoli e dispone di oltre 1000 sportelli. Che fine farà la Banca del Mezzogiorno? L’orientamento degli uomini di Intesa San Paolo è noto, così come quello della Banca d’Italia. Un settimanale controllato da De Benedetti, L’Espresso, scriveva (28.10.2010): “Come la mettiamo con l’iniziativa tremontiana di una Banca del Sud (…) fortemente perseguita ed ora in rampa di lancio? Una risposta esplicita da via Nazionale (Bankitalia, n.d.r.) non si otterrà neanche sotto tortura, ma appare chiaro che si tratta di una ricetta che si muove in una direzione opposta”.
La “ricetta” per il Sud di finanzieri come De Benedetti e di banchieri come Mario Draghi e Corrado Passera sta in proposte come il salario differenziato, con stipendi ridotti del 20%, avanzata già nel 2009 dal direttore generale di Intesa San Paolo, Francesco Micheli (cfr. Sud: Intesa Sanpaolo chiede il salario differenziato, in LN 24/2010), e nelle percentuali delle assegnazioni dei fondi destinati alla cultura della Compagnia di Sanpaolo, uno degli azionisti di Intesa-Sanpaolo: Sud, 2,5%, Piemonte 81% (bilancio 2007).
Il conflitto di interessi con l’economia del Sud e con le imprese dell’Italia del banchiere diventato ministro dello sviluppo è macroscopico. Perfino il Corriere della Sera, uno dei giornali più favorevole al governo Monti, ha ospitato una “ lettera aperta al banchiere diventato membro del governo” con qualche domanda a Passera. Peraltro a rappresentare Intesa-San Paolo nel governo Monti , oltre a Passera, c’è anche l’ex-vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza del gruppo bancario, Elsa Fornero, nominata ministro del lavoro e delle politiche sociali. “Da che parte starà il ministro sul fronte Fiat, di cui la banca è storica creditrice?” si è chiesto Massimo Mucchetti (Corriere della Sera, 18.11.2011). E su NTV, la compagnia ferroviaria privata di Luca di Montezemolo, della quale Intesa- Sanpaolo “è azionista e finanziatrice”? E da che parte staranno, aggiungiamo noi, Passera, la Fornero ed il neoministro del turismo Piero Gnudi, membro del consiglio di amministrazione di Unicredit, sullo shopping delle ultime banche meridionali? Dopo la Popolare di Sviluppo, banca napoletana in via di acquisizione dalla Popolare di Vicenza (cfr. LN44/11), voci di un passaggio di proprietà si moltiplicano ora sulla Popolare di Bari. Delle 81 Regioni dell’Ue, il Sud dell’Italia è l’unica a non avere propri istituti di credito di dimensioni medio-grandi.
A tentare di arginare la paurosa crisi dell’euro ci sono gli apprendisti-stregone del progetto dell’Unione Europea, un piano mondialista, concepito da lobbies della finanza e della tecnocrazia che si sta rivelando fallimentare e sta mandando in miseria milioni di famiglie. In Grecia la lobby pro-Ue ha imposto come primo ministro l’ex vice-governatore della Banca centrale, Lucas Papadimos, senza elezioni. In Italia, arrivano i banksters. Sono pessimi segnali per il Sud. All’orizzonte si intravede una nuova colonizzazione.
CRISI: COSÌ IL PIEMONTE INVENTO’ IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
L’unificazione dell’Italia fu pensata da Cavour anche come una soluzione per il pesante indebitamento del Piemonte, un’alternativa all’inevitabile default del piccolo Stato, dissanguato dalle guerre perdute e con una spesa pubblica in costante aumento. L’origine dell’attuale pesantissimo debito pubblico italiano è nelle dissestate finanze piemontesi,la cui eredità fu scaricata sugli Stati della penisola, dei quali il più ricco era il Regno delle Due Sicilie. Una conferma di quest’analisi, già diffusa nella storiografia e gli studi di orientamento meridionalista, viene dall’ “insospettabile” economista liberale Vito Tanzi, ex direttore del Dipartimento di Finanza pubblica del FMI (Fondo monetario Internazionale) dal 1981 al 2000, consulente della Banca Mondiale, e sottosegretario all’Economia dal 2001 al 2003.
In una lectio dedicata a Marco Minghetti tenuta il 25 ottobre scorso alla Fondazione CRT di Torino su “150 anni di finanza pubblica in Italia”, l’economista ha affermato: “Le ambizioni di Cavour lo resero pressoché indifferente all’entità del debito pubblico, a patto che la spesa venisse destinata in modo efficiente al raggiungimento dei suoi scopi (….) egli accrebbe le imposte al fine di coprire l’aumento della spesa pubblica, cercando al tempo stesso di distribuire più equamente il peso della tassazione tra le varie classi di reddito (…) disgraziatamente, come avviene di solito in questi casi l’indebitamente aumentò in misura maggiore della crescita economica, cosicché il servizio del debito, ossia il pagamento degli interessi, divenne un grave problema… Tra il 1847 ed il 1859 il debito pubblico piemontese aumentò addirittura del 565 per cento. L’ammontare complessivo sarebbe ulteriormente cresciuto, grosso modo triplicandosi, tra il 1859 ed il 1861, quando raggiunse i 2 mila milioni di lire, un valore astronomico per quei tempi, specialmente per un piccolo Stato come il Piemonte”.
“Sembra che nell’anno precedente all’unificazione – ha proseguito Tanzi – Cavour fosse giunto al convincimento che, ben presto, l’alternativa sarebbe stata l’unificazione dell’Italia o l’inadempienza (default) del Regno di Sardegna. L’unificazione – e il sistema di governo unitario che ne sarebbe conseguito- avrebbe permesso di raggiungere uno dei più importanti obbiettivi di Cavour e avrebbe altresì offerto una via di uscita dai problemi finanziari del Piemonte” (…)
“Quale che sia il ruolo e la responsabilità da attribuire a Cavour e al Regno di Sardegna – ha concluso l’economista – (…) è innegabile che la nascita dell’Italia sia stata segnata da un peccato originale, vale a dire un enorme debito pubblico che avrebbe accompagnato il nuovo Paese” (Il Giornale, 26.10.2011). (LN46/11).
DUE SICILIE: IN USCITA IL CALENDARIO DEL 2011
Uscirà a giorni il Calendario del Regno delle Due Sicilie 2011. La nuova edizione è dedicata alle feste religiose e civili del Regno, evidenziate tra i giorni dell’anno e ricordate con rare illustrazioni.
Composto di 12 pagine illustrate a colori, con una introduzione del prof. Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico, il calendario riporta anche una serie di date significative del Regno delle Due Sicilie. È possibile richiedere la versione personalizzata in ultima di copertina con il logo aziendale o con il nome e una frase augurale da usare come  regalo (quantità minima 10 copie, euro 150,00 + spese di spedizione). In casa, o nei luoghi di lavoro, il Calendario del Regno delle Due Sicilie permette di ricordare le date importanti e gli eventi della storia del Sud.
Ordina il calendario delle Due Sicilie 2012 (€ 12,00 + spese di spedizione; per i Soci dell’Editoriale Il Giglio € 10,00 + spese di spedizione)
TRADIZIONE: GLI ARAUTOS D’EL-REI RICORDANO IL RE DOM DINIS
Il 750° anniversario della nascita del Re del Portogallo Dom Dinis (1261-2011) è ricordato sul numero di novembre del bollettino degli Arautos d’El-Rei (Araldi del Re), associazione tradizionalista portoghese (www.arautosdelrei.org). Figlio di Dom Afonso III e di Beatrice di Castiglia, Dom Dinis fu il sesto re del Portogallo. Nato il 9 ottobre 1261, fu acclamato Re a Lisbona nel 1279 all’età di 18 anni. Nel 1282 sposò Isabella di Aragona, destinata a diventare Santa Elisabetta del Portogallo (1271-1336). I 46 anni di regno di Dom Dini, furono tra i più prosperi della storia portoghese. Poeta e uomo di cultura, Dom Dinis fondò nel 1290 gli Studi Generali, dai quali qualche anno dopo nacque l’Università di Coimbra, una delle più antiche del mondo, davanti alla quale lo ricorda una imponente statua
Dom Dinis sostenne l’Ordine cavalleresco di Santiago e difese dalla persecuzione i Templari, che sopravvissero in Portogallo con il nome di Ordem de Cristo.
fonte www.editorialeilgiglio.it