Mettiamo che il rifiuto di far festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia fosse partito dal Sud. Apriti cielo: neoborbonici, nostalgici, patetici. Invece è partito dal Nord. E tutti a discuterne come se fosse una cosa seria. E’ vero che mai come per questo compleanno l’Italia unita è stata così disunita. Ed è vero che la lagnanza maggiore dovrebbe venire dal Sud che nell’Italia unita ha sempre avuto la stanza di servizio, quella della servitù. Ma che a gettare la maschera sia il Nord che ha sempre dato lezioni a questi meridionali palla al piede del Paese, questa è una notizia. Anzi una indegnità. Una unità che ha fatto bene soprattutto al Nord che ora è il primo a non volerla festeggiare. Hanno cominciato i moralisti del .. , diciamo la Lega, e si sa che lavorano solo loro. Si è accodata la presidente di Confindustria, Marcegaglia: non perdiamo un giorno di produzione, 8 ore in 150 anni. Ha assecondato proprio il presidente del Comitato nazionale per i festeggiamenti, Amato, come se fosse il presidente del Comitato nazionale per i non festeggiamenti. Poi si è messa la ministra dell’Istruzione, Gelmini, a dire scuole aperte, contro i presidi che dicono scuole chiuse. Giuseppe Laterza ha proposto, scuole aperte ma si parli del Risorgimento.
Un giornale del Nord ha scritto, teniamo questa festa e aboliamo il 25 aprile, la Liberazione dal nazifascismo. La Provincia di Bolzano, che prende un botto di soldi dall’Italia, ha detto no riscoprendo di essere sudtirolese. Per il governo, solo il ministro La Russa (ex An) è per la festa. Forza Italia, che si chiama Forza Italia, tace. Dal Pd, solito non pervenuto. Ora, si svolgesse questo teatrino in un Paese refrattario alle feste, non meraviglierebbe. Ma è il Paese più festaiolo d’Europa. E anche il più pontiere, benché quest’anno il calendario dispettoso li abbia eliminati quasi tutti. E francamente una congiura: non si può far coincidere il 25 aprile col lunedì dell’Angelo, già giorno di festa senza che se ne sia mai capito perché. Come non si è mai capito perché sia festa, mettiamo, la Befana. O altre feste cattoliche che ciascuno si può onorare per conto suo, e la Chiesa attrezzarsi con messe pomeridiane e serali.
Arriva ogni 50 anni l’anniversario dell’unità, e proprio allora ci si ricorda che questo è un Paese serio tutto dedito al lavoro e per favore non lo si distragga. Lo vada a raccontare ad altri soprattutto la Lega Nord, la quale in vista del 17 marzo si preoccupa soprattutto di dividerla, l’Italia, col suo federalismo, insomma di farle la festa. Ma perlomeno, bisogna riconoscerlo, c’è una coerenza. Tutto il resto della piccionaia riscopre invece un’etica giusta nel momento sbagliato. O un’assoluta indifferenza a una nazione che non esiste. Cosa deve dire il Sud? Vorrebbe lavorare, ma ogni giorno. E all’invito di mettersi finalmente a lavorare rivolto da quel vecchio signore inglese di Bossi, dovrebbe rispondere: magari. Il 17 marzo come sempre. Quindi Bossi è d’accordo col Sud che si vuol mettere a lavorare. Cioè non vuole una disoccupazione tre volte maggiore di quella del Nord, per non parlare di quella giovanile e di quella femminile. E per non parlare di chi non risulta disoccupato (o inoccupato) perché il lavoro ormai non lo cerca neanche più. Sfaticati, cioè senza fatica. E Sud della protesta che se per il 17 marzo già dice, lo dice perché c’è poco da festeggiare un Paese che non riesce a dare lavoro a tutti, ma che si vorrebbe unito. E soprattutto.
Allora la proposta arriva dal Sud, che meno dovrebbe esserne sensibile per le ragioni suddette. Si festeggi il 17 marzo, così si capiscono le recondite intenzioni di chi lo vuole convertire in giorno della salvezza della patria. E si recuperi la sosta in un altro giorno di festa religiosa, tanto il buon Dio capirà. Soprattutto, il Comitato nazionale che già distribuisce lavoro (e compensi), per il 17 marzo lo distribuisca ai meridionali che non ce l’hanno: i quali potranno così festeggiare lavorando, cioè dando un senso a una festa che meno dovrebbe interessarli, viste le premesse. Ma ovviamente non si farà nulla di tutto ciò, altrimenti non si saprebbe come continuare a litigare. E a dire sfaticato al Sud. In un Paese unito anche le feste dovrebbero essere condivise. Come dovrebbe essere condivisa la verità sul modo in cui il Paese è nato. Come dovrebbe essere condivisa la memoria di chi allora ha combattuto da una parte o dall’altra e ha pari dignità perché quando si combatte e si muore non conta la parte giusta o la parte sbagliata. Fosse stato fatto tutto questo, anche il 17 marzo sarebbe stato una gioia e non un tormento. Invece è la consueta misera guerra. Con una parte del Paese che dall’unità ha avuto tutto ma non è mai sazia. E non vuole festeggiare. Fratelli d’Italia.
 di Lino Patruno