In un’intervista rilasciata ieri a “Il Giornale”, il ministro Brunetta ha definito la “conurbazione Napoli-Caserta un cancro sociale e culturale, senza Stato, senza politica e senza società”, concludendo che, “se non ci fossero Napoli, Caserta e la Calabria, l’Italia sarebbe il primo Paese in Europa”. Forse è arrivato davvero il momento di dire basta. Che cosa dobbiamo fare per far capire che ci siamo stancati di provocazioni, accuse e offese? Che cosa devono fare i campani, i calabresi o i meridionali per far sapere a ministri, politici, intellettuali e opinionisti della prima e dell’ultima ora che non vogliono più essere provocati, accusati, offesi o anche solo citati nei loro interventi puntualmente ripresi da stampa e tv nazionali? Chi può avere il diritto e la presunzione di umiliare gente che già è costretta a vivere, da decenni, nell’emergenza e nella precarietà? Danni e beffe: dai primati della disoccupazione e della invivibilità a quelli di una sanità che ci costringe a pagare i medicinali o a farci ricoverare su barelle di fortuna in ospedali senza rispetto e senza dignità e, per finire, magari, le lezioncine di chi pensa di sapere tutto e di poter risolvere tutto. Con gli inevitabili chiarimenti posticipati dei diretti interessati (“hanno travisato le mie parole, volevo dire altro, io amo Napoli e Caserta…” e così via) e le altrettanto inevitabili strumentalizzazioni dei leghisti di turno (“lo abbiamo sempre saputo, lo abbiamo sempre detto, la palla al piede dell’Italia, sono inferiori per razza”… e così via). E a questo proposito sarebbe utile rivolgere solo qualche domanda al ministro Brunetta: se è vero (e lo sappiamo bene) che paghiamo la totale assenza di classi dirigenti, dov’era Brunetta e dov’erano i responsabili del suo partito quando si sceglievano i politici che avrebbero dovuto rappresentare la Campania o la Calabria in questi anni? Cos’hanno fatto questi stessi politici in favore di quei territori che li hanno eletti premiando in maniera determinante il suo schieramento politico? Se è vero che usciamo da anni di strapotere bassoliniano, dov’era l’opposizione di fronte a certe scelte e a certi scempi? Che cosa hanno fatto i suoi colleghi per risvegliare quelle classi dirigenti “tramortite” e molto spesso (troppo spesso) indifferenti o complici di un sistema politico oggettivamente (e più o meno da 150 anni) nord-centrico? Quali erano (e quali sono oggi) le alternative credibili che potevamo utilizzare per cambiare veramente rotta? A proposito, poi, di Sud e dintorni, quali sono i provvedimenti che questo governo ha preso nonostante le promesse elettorali? Dove sono i fondi Fas o quelli del Cipe destinati al Mezzogiorno? Tra litigi, spaccature e scoop estivi, che fine ha fatto la “Banca del Sud” di Tremonti? Viene in mente quello splendido intervento televisivo del grande Massimo Troisi che accusava l’allora presidente Pertini di aver rivolto genericamente ai telespettatori (con il dito puntato verso la telecamera) l’accusa di aver rubato i soldi dei terremotati del Belice suscitando l’amarezza del padre di Troisi, un povero ferroviere che non avrebbe mai toccato una lira del Belice… Il ministro Brunetta, allora, punti il dito verso altri colpevoli e non verso la nostra gente: punti il dito, con un minimo di necessaria autocritica, verso se stesso o i suoi colleghi di partito (al governo, ormai, a livello locale e centrale, da diversi anni). E se queste sono le premesse, perché dovremmo fidarci di quel federalismo-salvatutti,  “grande strategia di liberazione”? “Liberazione” di chi, da chi e per chi? A Napoli, a Caserta e in tutto il Sud non abbiamo più bisogno di provocazioni ma di fatti concreti e seri. Provocazione per provocazione, poi, se i soldi della Cassa per il Mezzogiorno o se gli incentivi vari e frequenti per le case automobilistiche non li avessero di fatto presi le aziende settentrionali, l’ex Regno delle Due Sicilie e i suoi “terroni” sarebbero primi in Europa e anche davanti ai “padani”…  Non abbiamo classi dirigenti, allora, e non abbiamo chi sappia difenderci dai Brunetta come meriteremmo, come meriterebbe questa terra benedetta da Dio e dalla natura, come meriterebbe questa gente che ha un’unica colpa, frutto, forse, di migliaia di anni di scetticismo e di saggezza: la rassegnazione. Ma fino a quando? 
 
Gennaro De Crescenzo
Parlamento delle Due Sicilie (p. 1 Cronache di Napoli, Corriere di Caserta 12/9/10)