Nel progetto di destabilizzazione e stravolgimento degli equilibri internazionali messo in atto dalla “Setta”, atea e massone, vi era il colpo di grazia alla Capitale Cattolica del mondo, al simbolo di una cultura ultramillenaria dalla quale è scaturita la civiltà di Cristo: vi era l’aggressione a Roma.
Ridurre Roma da città universale a capitale di uno staterello messo insieme con la forza delle sopraffazioni, degli inganni demoniaci e della più disonorevole crudeltà militare, fu quella sottile operazione che la storia ci ha tramandato con il nome di “Breccia di Porta Pia”.
Un evento storico mistificato, esaltato, mal raccontato se non completamente stravolto dalla storiografia ufficiale. Quella storiografia che continua da 140 anni a diffondere una mitologia senza senso, una retorica tronfia e dissacrante dei principi pregnanti della nostra cultura, della tradizione dei nostri Padri, della religione di Cristo.  

 
I FATTI
 
Il Papa
Il giorno 10 settembre 1870, ricevuto l’immotivato ed esilarante ultimatum del Savoia di abbandonare Roma, il Papa Pio IX chiamò a se il Ministro della Guerra, Generale Hermann Kanzler e serenamente gli ordinò: “Ebbene a questo esercito io debbo dare un grande dolore: esso dovrà cedere”.
Infatti l’ordine fu che le Truppe Pontificie si dovevano via via ritirare senza combattere, effettuando una semplice, ma non accanita resistenza e ciò solo ed esclusivamente per non avallare l’illegittimità dell’azione del Savoia e mostrare al mondo quanto la Chiesa di Cristo stava patendo.
Il giorno 19 settembre 1870 il Papa invia al suo generale una nota:
“Signor generale, ora che si va a compiere un gran sacrilegio e la più enorme ingiustizia, e la trupa di un Re cattolico, senza provocazioni, anzi senza nemmeno l’apparenza di qualunque motivo, cinge d’assedio la capitale dell’Orbe cattolico, sento in primo luogo il bisogno di ringraziare Lei e tutta la truppa nostra della generosa condotta finora tenuta, dell’affezione mostrata alla Santa Sede e della volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa metropoli. Siano queste parole un documento solenne che certifichi la disciplina, la lealtà, il valore della truppa al servizio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa, sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a contrastare la violenza e nulla più, cioè di aprire trattative della resa ai primi colpi di cannone.
In un momento in cui l’Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi nazioni, non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo, qantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire a qualunque spargimento di sangue. La nostra causa è Dio, e noi rimettiamo nelle sue mani la nostra difesa.
Benedico di cuore Lei, signor generale, e tutte le nostre truppe”.
 
L’aggressione
Alle 5.10 del 20 settembre 1870, le prime cannonate piemontesi riecheggiano nel cielo di Roma.
Vengono colpiti gli archi ed i merli di Porta Pia e Porta Maggiore; le mura ed i contrafforti del colle Vaticano e della cinta leonina.
Alle 6.35 aprono il fuoco le batterie del generale Bixio che dirigono il tiro contro Porta San Pancrazio. I proiettili sfiorano la Cupola di San Pietro e finiscono nel Borgo e nei giardini vaticani. Altri cadono a Trastevere dove scoppia un furioso incendio.
Il Papa convoca il corpo diplomatico. Si presentano i rappresentanti di 17 nazioni ai quali espone la sua viva protesta per quanto stava facendo il Governo Italiano identificando nel verso giusto quell’impresa che aveva un significato più diabolico che politico.
Egli, infatti, tra l’altro affermò: “Bixio, il famoso Bixio, è là coll’esercito italiano. Oggi è generale! Bixio, fin dal tempo nel quale era repubblicano, aveva formato il progetto di annegare nel Tevere il papa e i suoi cardinali quando sarebbe entrato in Roma.
Io l’aspetto il liberatore insieme al sue re, novello Attila (…).
Poi, scuro in viso e dopo aver parlamentato con il Colonnello Carpegna dichiara: “Io ho dato in questo istante l’ordine della resa totale. Non si potrebbe più difendere se non spargendo molto sangue ed io mi rifiuto di ciò. Io non vi parlo di me: non è per me che io piango, ma per quei poveri figli che sono venuti a difendermi come loro Padre. Voi vi occuperete per quelli dei vostri paesi: ve ne sono di tutte le nazioni; pensate anche, io ve ne prego, agli inglesi, ai canadesi, i quali non hanno qui rappresentanti”.
Nello stesso tempo veniva issata sulla Cupola di S. Pietro la bandiera bianca.
Nonostante il chiaro segno di resa, i colpi delle cannonate continuavano a solcare rabbiose il cielo di Roma. Il reparto comandato dal Generale Bixio, attestato di fronte a Porta San Pancrazio, continuava un tiro teso ed all’impazzata in direzione di San Pietro. Alcuni ufficiali sabaudi chiesero conto di un tale comportamento fuori da ogni regola ed in violazione di chiari ordini. Lo stesso generale Cadorna in seguito dichiarò: ” (..) sul compianto generale Bixio diremo bravo, ma impetuoso e teatrale per natura, mal sofferendo di avere per compito una semplice dimostrazione, qui sotto Roma fece tirare all’impazzata (..)”.
Avendo le truppe papaline di fatto smesso di difendersi per ordine del Papa, i bersaglieri si accostarono alla cinta muraria più debole, nei pressi di Porta Pia, per sistemare di fianco alcune cariche esplosive ad alto potenziale e ciò nonostante la porta fosse ormai libera da militi e da ostruzioni.
A seguito dell’esplosione si aprì una stretta breccia larga poco più di un paio di metri. Quindi la spaccatura venne enormemente allargata a colpi di cannone e piccone dagli uomini del genio sabaudo.
Nonostante le bandiere bianche di resa, la fanteria sabauda si dispose su tre colonne di attacco. Uno schieramento formidabile per assaltare una porta “spalancata”.
Alla vista di quanto si stavano preparando a fare i “valorosi” bersaglieri, il capitano zuavo Berger, avuto anch’egli l’ordine di non combattere, si eresse piangendo sulle rovine delle mura tenendo per la lama la sua spada ed alzando verso il cielo l’elsa intonò l’inno dei crociati zuavi.
Quando fu suonata la carica, una calca indescrivibile di soldati italiani formata dalle tre colonne in mezzo ad un gran nuvolone di polvere, si avventò sulle postazioni papaline che già da molto tempo avevano cessato il fuoco ed avevano issato la bandiera bianca.
Emblematica appare la probabilità in via di verifica che i pochi feriti sabaudi della famosa carica siano solo il frutto del cosiddetto “fuoco amico casuale” che, oltre ad abbattere i bersaglieri, “(…)  li espose al calpestio dei loro compagni intenti a conquistare Roma di corsa”.
Su questo squallido episodio militare, la mitologia risorgimentale si è sbizzarrita ad imbastire incredibili episodi di valore, costruendo eroi e vicende su stampe e foto raffiguranti cariche, scontri e luoghi esistiti solo nell’immaginario di una disonorevole e piratesca conquista.
Una volta dilagate in Roma, le truppe di conquista si preoccuparono di attestarsi nei punti chiave della città e di occupare i ministeri, le caserme, i tribunali e la zecca.
Puntarono i loro cannoni su S. Pietro dal Gianicolo e da Castel Sant’Angelo e predisposero la cavalleria e la fanteria pronti ad attaccare il Vaticano. Mancava solo un ordine e la città di Cristo sarebbe stata ridotta  a poco più di un colle di rovine.
Un ordine che tardò ad arrivare e mai arrivò. Ancora una volta “Attila” era stato fermato da un Sommo Pontefice.
Importante e significativo il resoconto di Ugo Pesci, un giornalista a seguito dei piemontesi: “Noto prima di ogni altra cosa la mancanza assoluta di qualunque entusiasmo (…) Sette o otto reggimenti di fanteria traversano le strette vie della città colla musica. Nessun saluto, nessun sorriso, pianti si, molti”.
 Ma allora, da dove è stato rilevato l’entusiasmo del popolo romano festoso raccontato dalla storiografia risorgimentale?
 
Conclusioni
Significativo appare il fatto che l’ambasciata Inglese fu poi realizzata a pochi metri dalla famosa “breccia”. Un caso? Una necessità? Oppure un segnale importante, se non addirittura un monito, trasmesso a tutti coloro che ancora dubitano su chi sono stati i veri artefici di un risorgimento anticattolico e crudele che non fu altro che “una fase importante dell’imperialismo inglese”?  
Don Bosco nell’ammonire “Chi ruba alla Chiesa ruba a Dio”, coraggiosamente sentenziò a quella “maledetta dinastia” che aveva comandato l’aggressione alla Chiesa, che non avrebbe visto la 4^ generazione da regnanti. E così fu.
A completamento dell’intera vicenda c’è la curiosa ma significativa decisione del generale Raffele Cadorna quando, al decimo anniversario della “storica” breccia di Porta Pia, si rifiutò categoricamente di prender parte ai festeggiamenti in ricordo di una “(…) battaglia  disonorevole, inutile e sacrilega “.
Una curiosità molto importante.
Per la massoneria le date sono fondamentali, infatti le truppe sabaude, attestate da una settimana alle porte di Roma, attesero il 20 settembre 1870 per scatenare l’aggressione che si sarebbe dovuta concludere il 21, anniversario della fondazione della prima repubblica giacobina.
Con la resa immediata e, quindi, con l’amore verso la sua gente, il Sommo Pontefice ruppe l’incantesimo dei numeri dell’odio di S.atana.
  
 di Alessandro Romano 
 
Bibliografia e fonti di archivio:
 
De Cesare – Roma e lo Stato del Papa – Dal ritorno di Pio IX al XX settembre 1870 – Forzani – Roma;
Hercule De Sauclières – Il Risorgimento contro la Chiesa e il Sud – Controcorrente – Napoli;
Cesare Bartoletti – Il Risorgimento visto dall’altra sponda – Arturo Berisio – Napoli;
Ivanoe Bonomi – La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto – 1870 – 1918 – Einaudi;
Gerlandino Lentini – La bugia risorgimentale – Edizioni il Cerchio – Città di Castello – PG;
Vincenzo Del Giudice e altri – I patti Lateranensi – Quaderno n. 12 – Ed. Aldo Cricca – Tivoli:
Antonmaria Bonetti – La liberazione di Roma del 1870 – Osservazioni critiche – Tip. Arciv. Siena;
Massimo Brandani ed altri – L’Esercito Pontificio da Castelfidardo a Porta Pia – Intergest – Milano;
Gigi Di fiore – I Vinto del Risorgimento – Utet – Torino;
Domenico De Marco – Il Tramonto dello Stato Pontificio – Edizioni Scientifiche Italiane – Napoli.
 
Archivi di Stato di Roma,
Archivi di Stato di Napoli;
Archivio  S.C.V.;
Archivio Borbone Roma;
Ufficio Storico Esercito Italiano.
 
 
 
 
 
Roma 20 settembre 1870 e i Soldati del Papa.
Il trionfo della forza sul diritto.
 
         di Francesca Romano 
 
 Roma, 12  settembre 1870.
Il generale Kanzler dichiara Roma “in istato di assedio”.
 
 
“Nel 1870 come nel 1860 non vi fu dichiarazione di guerra. La formale dichiarazione, senza la quale nessuna guerra è legale, è di solito costituita da un documento che denunzia gravi trasgressioni e accuse per le quali sia richiesta e rifiutata una riparazione.
Poiché nessuna accusa poteva essere mossa per motivare l’invasione del patrimonio di san Pietro, fu impossibile formulare una dichiarazione di guerra.
L’invasione fu un atto di brigantaggio regio”.
 
In questi termini Patrick Keyes O’ Clery, irlandese militante nelle file dell’esercito pontificio, descrive la presa di Roma .
Toccanti sono anche le parole con le quali ricorda l’ultimo saluto del papa alle sue fedeli truppe:
 
“Poco prima di mezzogiorno fu dato per l’ultima volta il segnale di adunata e le truppe formarono i ranghi. Quando furono tutti schierati, rivolti verso il Vaticano pronti per partire, il colonnello Allet si fece avanti e con voce rotta dall’emozione gridò: “Mes enfants! Vive Pie Neuf!”.
Un poderoso evviva proruppe dalla truppa. In quel momento il papa apparve dal balcone e, levando le mani al cielo pregò: “ che Iddio benedica i miei figli fedeli !”.
L’entusiasmo di quel momento fu indescrivibile, uno zuavo ungherese sfoderò la spada, subito migliaia di spade sguainate brillarono al sole”. 
 
Si può dedurre da numerose affermazioni di Pio IX, quanto paterno e sincero fosse l’affetto che lo legava ai suoi soldati, come quando rivolgendosi al Kanzler, ufficiale delle truppe pontificie si raccomanda : “abbiate cura anche di irlandesi, inglesi e canadesi che non hanno chi rappresenti i loro interessi, perché siano protetti dai maltrattamenti che altri ebbero a soffrire alcuni anni fa.”
 
E non aveva tutti i torti,  seguendo infatti il racconto di O’ Clery leggiamo:
 
“(…) arrivammo a Civitavecchia dopo la mezzanotte, divisi per nazionalità e senza ricevere da mangiare.
I francesi furono condotti nel lazzaretto, irlandesi, inglesi e belgi nelle prigioni, gli italiani nella fortezza di Alessandria. Gli zuavi francesi s’imbarcarono per la Francia, canadesi, irlandesi e inglesi a Genova dove un piroscafo, si diceva, li avrebbe mandati in Gran Bretagna. Tuttavia molti a Genova furono reclusi come prigionieri comuni.
I belgi e gli olandesi furono trasportati in Svizzera, Da qui alla meglio dovettero tornare in patria attraversando a piedi Svizzera e Germania.
I soldati italiani, per la maggior parte furono internati ad Alessandria”.
 
I soldati pontifici che provenivano da territori dominati da sovrani cattolici, avevano chi a livello diplomatico, vegliasse sul rispetto del loro status di prigionieri. Al contrario, i militari provenienti da stati governati da sovrani non cattolici, erano sottoposti a maggiori vessazioni. È il caso di olandesi e belgi, costretti a tornare a piedi nelle loro terre, attraversando in pieno inverno il cuore dell’Europa, abitato da popolazioni per lo più protestanti.
Così tra le sofferenze dei suoi figli fedeli e lo sdegno di duecento milioni di cattolici, cadeva il potere temporale del papa.
 
Roma, la Città Santa, si riempì di infernali testate giornalistiche: “Il Mefistofele”, “Il diavolo color rosa”, “la Raspa”. I cattolici divennero bersaglio della satira del tempo, le manifestazioni sacre sistematicamente disturbate dagli anticlericali.
 
E’ solo l’inizio di una storia non ancora superata, che capovolge la bilancia del bene e del male, che fa passare per vera la menzogna e per falso il vero.
 
 
 
 
Una storia ancora attuale.
 
“ Ce si spera?”  Pubblica l’Osservatore romano il 17 settembre 1870,  “forse che la voce del Vicario di Gesù Cristo possa essere soffocata dalle mani imbelli dell’uomo? A traverso i folti battaglioni, malgrado la più rigorosa sorveglianza essa s’udrà potente, sonora, minacciosa da un punto all’altro del globo. Al suo mistico rimbombo tremerà la terra che si sentirà scossa nei stessi cardini della sua esistenza e in poco d’ora, simile al colosso di Nabucco, la rivoluzione cadrà in polvere”.
 
“PORTAE INFERI NON PREVALEBUNT” era  e continua ad essere il motto dell’Osservatore Romano, “Portae inferi non prevalebunt” è Parola di Dio, che continua ad alimentare la speranza comandata dal Vangelo a tutti i cristiani.
 
Se il 20 settembre 1870 segna la vittoria della forza sul diritto, un’altra data, segnerà un giorno la vittoria definitiva del diritto sulla forza.