Ferdinando II rappresentò l’ultimo esempio di come la nostra terra era governata, di come doveva e poteva essere governata: facendo gli interessi dei popoli delle Due Sicilie, assecondando le loro vocazioni, le loro aspirazioni, con un senso di appartenenza, con una fierezza, con una volontà di autonomia e con un orgoglio che perdemmo solo nel 1860. Gli stessi elementi che oggi, di fronte a globalizzazioni o europeizzazioni più o meno forzate, sono più che mai necessari per ritrovare la strada di un riscatto atteso per troppo tempo e in tutti i settori.
Ferdinando di Borbone nacque il 12 gennaio del 1810 a Palermo da Maria Isabella di Borbone, moglie del futuro Francesco I. La corte era in Sicilia  per l’occupazione francese iniziata nel 1806. Tra la Reggia di Palermo e la villa della Favorita trascorse la sua infanzia. Tornato a Napoli nel 1815, i suoi studi furono caratterizzati da una profonda e sincera religiosità. A diciassette anni fu nominato comandante in capo dell’esercito appassionandosi presto alla vita militare e riscuotendo le simpatie di soldati e ufficiali. Dimostrò subito alcuni risvolti caratteriali che avrebbero influenzato anche il suo governo: l’odio per i soprusi e la corruzione, la volontà di autonomia e indipendenza.
La sua lingua preferita fu quella napoletana. Il 7 novembre 1830 morì Francesco I.
A vent’anni Ferdinando diventò Ferdinando II.
Nel suo primo giorno da Re attraversò la capitale con il suo stato maggiore e l’accoglienza popolare fu affettuosissima. Stava per iniziare la storia dell’ultimo vero Re delle Due Sicilie, il Re che meglio avrebbe sintetizzato, per carattere e per scelte, tutta la dinastia borbonica e un popolo intero. Il 20 novembre raggiunse Genova e sposò la principessa Maria Cristina di Savoia nel santuario di Votri. Il 30 novembre la coppia reale arrivò a Napoli via mare e fu accolta dai colpi di cannone dei castelli e da una folla in festa. Amnistie e donazioni accompagnarono il matrimonio. Il 16 gennaio del 1836 Maria Cristina dà alla luce l’atteso erede al trono, Francesco, ma il 31 gennaio muore per le febbri conseguite al parto. Il 9 gennaio del 1837 sposò a Trento la principessa Maria Teresa d’Austria, figlia dell’arciduca Carlo, eroe delle guerre contro Napoleone. Avrà da lei ben dodici figli e furono legati da un amore profondo e spesso tenero. In tanti li potevano avvistare, di notte, in giro per le sale del Palazzo Reale, l’una sulle spalle dell’altro. La chiamava napoletanamente e affettuosamente “Tetella”. Riuscì ad affezionarsi anche alla piccola Maria Sofia di Wittelsbach, sorella dell’imperatrice Sissi e sposa del figlio Francesco, destinata a diventare l’ultima Regina di Napoli. Nel 1858 era stato deciso il matrimonio. Dopo le rispettive feste a Napoli e in Baviera con il matrimonio “per procura”, nel gennaio del 1859 Ferdinando parte per Bari per andare ad accogliere la giovane e bellissima principessa tedesca. Tempeste di neve e freddo ostacolarono più volte quello che doveva essere il suo ultimo viaggio. In una di quelle tappe la carovana reale si fermò in un convento di Ariano Irpino ospite di monsignor Michele Caputo, che in seguito avrebbe tradito il Re e la Chiesa passando con i garibaldini e che si sarebbe vantato anche di aver avvelenato Ferdinando proprio quella notte. Un’infezione curata male o altre cause ancora incerte e in attesa di ulteriori approfondimenti medico-scientifici-legali portarono alla sua morte di certo molto attesa da liberali e massoni, da inglesi e piemontesi… Iniziò lì un’agonia che durò fino alla primavera. Trasportato dalle Puglie a Caserta prima in nave e poi in ferrovia, accompagnato dal dolore dei suoi uomini più fidati e di tutti i suoi familiari, finì i suoi giorni all’una e trenta di domenica 22 maggio 1859. In una delle rarissime fotografie del tempo, si può vedere il corpo di Ferdinando II consumato, sul letto di morte, dalla lunga e dolorosa malattia. Qualche ufficiale in alta uniforme ai lati del letto e, intorno, alcune sedie di paglia e sopra un quadro di Gesù e uno della madonna Addolorata che lui aveva voluto per le sue ultime preghiere, segno di una religiosità sincera e popolare. Potrebbe sembrare un interno di uno dei tanti bassi di Napoli nel momento della fine dei nostri vecchi.
  
LE SUE OPERE
In quattro anni soltanto, dal 1850 al 1854, furono reintegrati nei demani comunali più di 108.950 moggia di terreni usurpati e divisi in sorte agli agricoltori più bisognosi. Dall’Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie del 1854: “Si ha, oltre i luoghi pii ecc. ecc., pei domini continentali un totale di 761 di stabilimenti diversi di beneficenza, oltre 1131 monti frumentarii, ed oltre de’ monti pecuniari, delle casse agrarie e di prestanza e degli asili infantili”. “Per sua volontà si badò a costruire strade, che dalle 1505, quante se ne assommavano nel 1828, erano divenute nel 1855 la bellezza di 4587 miglia. E non straduzze da poco… Erano l’Amalfitana, la Sorrentina, la Frentana, la costiera adriatica, la Sora-Roma, l’Appulo-sannitica, che collegava Abruzzi e Capitanata, l’Aquilonia, che collegava Tirreno e Adriatico, la Sannita, da Campobasso a Termoli. In breve dal ‘52 al ‘56, che sono solo quattro anni, furono costruite 76 strade nuove, di conto regio, provinciale e comunale. Moltissimi i ponti, e fra tutti il ponte sul Garigliano, sospeso a catene di ferro, che fu il primo di questa foggia in Italia, e tra i primissimi in Europa. E poi le bonifiche, l’inalveazione del fiume Pelino, la colmata dei pantani del lago di Salpi, la bonifica delle paludi campane… In 30 anni, la marina a vela raddoppiata, la marina a vapore creata dal nulla, che nel 1855 contava 472 navi, per 108.543 tonnellate, più 6 piroscafi a ruota, 6913 tonnellate di barchi diversi. E le scuole, i collegi nautici, le industrie…”. Così il giornalista francese Charles Garnier: “Le imposte erano meno gravose di quelle del Piemonte e minori di quelle italiane degli anni postunitari; il credito del governo solido, il debito basso, la coscrizione molto più tollerabile; gran parte delle entrate erano spese nell’agricoltura e nei lavori pubblici, fra cui si ricordano la prima ferrovia e il primo telegrafo elettrico in Italia, e anche il primo ponte sospeso e i primi fari diottrici furono attuati nel Regno; e così il primo battello a vapore. Il commercio era in crescita, fiorenti le manifatture”. “Volle strade, volle porti, volle bonifiche, ospizi e banche; poco sopportava una borghesia saccente e rapace, la cosiddetta borghesia dotta, i ‘galantuomini’. Cercò piuttosto di creare una borghesia che mirasse al sodo. Non fu fortunato per la ragione che nel Napoletano altra borghesia non esisteva che quella delle professioni e degli studi, ‘pennaruli e pagliette’, quelli che avevano cacciato suo nonno da Napoli, legati a fil doppio allo straniero per sole ragioni ideologiche che il Re, come re, non capiva; e l’avida schiera dei proprietari terrieri”… Un esempio significativo e amaro legato alla storia dell’industria navale e del commercio nel passaggio tra Regno delle Due Sicilie e Italia unita: nel giugno del 1854 per la prima volta  una nave italiana a vapore, dopo 26 giorni di navigazione, arrivò a New York: era il piroscafo “Sicilia”, frutto del progetto di una società voluta da Ferdinando II  “per il tragitto periodico tra i Reali Dominii e le Americhe […] spezialmente pel traffico di quelle derrate che in lungo viaggio soggette andrebbero a deteriorarsi”. Alcuni anni dopo l’unità d’Italia, lungo la stessa lunghissima rotta, quelle “derrate” saranno più tragicamente sostituite da milioni di meridionali costretti ad emigrare…
Il ricordo del nostro Re, allora, è più che mai necessario, nell’attesa di classi dirigenti finalmente fiere e orgogliose, proprio come Ferdinando II, e degne di rappresentare il Sud di domani.
 
ALCUNI PRIMATI DEL SUD DI FERDINANDO II
1832, primo ponte sospeso in ferro nel mondo sul Garigliano
1833, prima nave da crociera in Europa (“Francesco I”)
1835, primo istituto italiano per sordomuti
1836, prima compagnia di navigazione a vapore nel Mediterraneo
1839, prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici
1839, prima illuminazione a gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade
1840, prima fabbrica metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050) a Pietrarsa presso Napoli
1841, primo centro sismologico in Italia presso il Vesuvio
1841, primo faro lenticolare a luce costante in Italia a Nisida
1843, prima nave da guerra a vapore in Italia (pirofregata “Ercole”) varata a Castellammare
1845, prima locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
1845, primo osservatorio meteorologico italiano alle falde del Vesuvio
1852, primo bacino di carenaggio in muratura nel porto di Napoli
1852, primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia a Capodimonte
1855, primo telegrafo elettrico in Italia
1856, prima potenza industriale italiana e terza nel mondo alla Mostra di Parigi
1856, primo premio internazionale per produzione di paste
1856, primo premio internazionale per lavorazione di coralli
1856, primo sismografo elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri
1859, prima bandiera italiana e seconda nel mondo per presenze nei porti francesi
1859, prima flotta mercantile e la prima flotta militare d’Italia
1859, la più grande industria navale d’Italia per numero di operai (a Castellammare, 2000 operai)
1859, la più alta percentuale di medici per abitanti in Italia
1859, Napoli, prima città d’Italia per numero di conservatori, di teatri, di tipografie, per numero di giornali e riviste
1859, la più alta quotazione di una rendita statale (120% alla Borsa di Parigi)
1860, il minore carico tributario erariale in Europa
1859, maggiore movimento di importazione ed esportazione in Italia
1860, la città più popolosa d’Italia, Napoli (447.065 abitanti rispetto ai 204.715 di Torino o ai 194.587 di Roma)
1859, il più alto numero di addetti all’industria in Italia
1859, minore percentuale di emigranti in Italia
 di Gennaro de Crescenzo