La grande tavola, entrata nel Museo di Capodimonte di Napoli nel 1921, fu eseguita nel 1317 per la chiesa di San Lorenzo Maggiore, dove la sua presenza è attestata a partire dalla fine del XVI secolo, nella zona del transetto sinistro, sede di una cappella in onore di Ludovico (edificata nel 1323) e del “sepolcreto” della famiglia reale angioina. La firma del pittore compare nella predella del dipinto, alternata agli stemmi d’Angiò e d’ Ungheria, il casato di Ludovico: “ Symon de Senis Me Pinxit”. Il quadro fu commissionato a Simone Martini dal re di Napoli, Roberto d’Angiò, in occasione della canonizzazione del fratello Ludovico, vescovo di Tolosa. Dopo la morte del primogenito nel 1296, era Ludovico – secondogenito di Carlo II d’Angiò e di Maria d’Ungheria – il legittimo pretendente al trono di Napoli. Ma i contatti con l’ambiente dei francescani spirituali lo indirizzarono verso scelte di radicalismo religioso tanto che, nello stesso anno 1296, egli rinunziò ai suoi diritti dinastici, ed ottenne da papa Bonifacio VIII, l’anno successivo, l’autorizzazione ad entrare nell’ordine francescano accettando la nomina a vescovo di Tolosa.
Ludovico morì il 19 agosto del 1297.
Dopo la scomparsa di Carlo II, nel 1309, fu Roberto ad ascendere al trono suscitando però voci di usurpazione nonostante la rinuncia a suo favore fatta dal fratello Ludovico.
Contro Roberto fu addirittura intentato un processo presso la Corte pontificia, che si risolse con una pronuncia a suo favore da parte del Papa.
Nonostante l’evidenza dei fatti, le polemiche non si sedarono.
Il lungo processo di canonizzazione di Ludovico, voluto fortemente dal fratello, si concluse il 7 aprile del 1317 sotto il pontificato di papa Giovanni XXII e a questo evento, che rafforzava enormemente il prestigio della casa regnante e sanciva definitivamente la legittimità della successione al trono dello stesso Roberto, si lega evidentemente la commissione a Simone Martini di un’opera esplicativa, quasi un manifesto di legittimità, che rappresentasse chiaramente la rinuncia volontaria al trono da parte di Ludovico a favore di Roberto e confermare così la sua legittimità alla successione.
Nell’opera, Ludovico porge la corona reale al fratello Roberto, in uno sfolgorio di pregiate e raffinate decorazioni, tra cui spiccano i gigli di Francia sulle cornici e sulle vesti. Simone Martini ha ripetuto il giglio angioino per tutto il dipinto come tema ornamentale e decorativo, lo stemma a rilievo funge inoltre da fermaglio al piviale del Santo e s’inserisce nell’ornamentazione preziosa.
A livello iconografico, San Ludovico, ieratico e frontale,  viene incoronato da due angeli, ed egli, a sua volta, incorona il fratello re di Napoli, affermando la legittimità della doppia investitura: quella celeste e quella terrena. .
L’opera è impostata su una evidente “prospettiva gerarchica”: il santo, pur collocato in secondo piano nello spazio dell’immagine, appare di molto più grande rispetto al fratello Roberto, inginocchiato in primo piano.
San Ludovico da Tolosa occupa la quasi totalità della tavola principale, è assiso in trono ed è vistosamente abbellito con vesti vescovili, indossati sopra il saio francescano.
Nella composizione tutto diventa solenne, sfarzoso e prezioso: la magnificenza del mantello in broccato rifinito con raffinatissime orlature dorate, il pregiato intarsio di gemme su pastorale e mitra, la raffinatezza delle due corone che sembrano fondersi con lo stesso cromatismo dorato dello sfondo.
Simone Martini dimostra in questo dipinto di avere una grande sensibilità e capacità di raffigurare le varie materie, come le stoffe con i relativi ricami, i gigli della famiglia Angiò, il tappeto di motivo orientale disteso sul pavimento, i pregiati metalli delle oreficerie, gli intarsi della pedana in legno sotto il trono.
L’opera è costituita da una tavola grande (200 x 138 cm.), dove è raffigurato il santo, e una predella (56 x 205 cm.) in cui sono narrate le sue storie.
La predella è suddivisa in cinque scomparti, incorniciati ciascuno da un arco, a formare una sorta di porticato oltre il quale si ravvisa un’unica scena ed un unico punto di fuga che si colloca sull’asse centrale dello scomparto mediano.
A partire da sinistra, nella predella sono rappresentate cinque scene: “Accettazione dell’episcopato di Tolosa”, “La proclamazione pubblica dei voti francescani”, “San Ludovico serve i poveri a mensa”, “Esequie” e “Miracolo del bimbo risuscitato”.
L’opera, sebbene contestata, resta una delle più importanti, tra quelle realizzate da Simone Martini durante il proprio soggiorno alla corte di Napoli.
di Agnese Serrapica