Gentile dottoressa Antonella Orefice. Le scrivo a proposito delle sue considerazioni circa talune reazioni suscitate, nel “Mondo Neoborbonico”, da una sua pubblicazione. Concordo con lei sul fatto che le espressioni con le quali si manifesta il proprio pensiero debbano essere sempre rispettose di colui al quale ci si rivolge e con cui ci si confronta. Non concordo, però, quando dice, a proposito di coloro che hanno usato toni non pacati per esprimere la propria contrarietà al suo scritto, che si tratta di “gente che non tollera chi esprime un dissenso”. Finora, infatti, sono stati proprio i neoborbonici (come anno di fondazione del Movimento datano al 1993 ma, come sentire, esistono dal 1860), i meridionali desiderosi di conoscere quella parte della verità storica riguardante il loro passato(loro, ma anche mio: e infatti io sono fra questi),  ad essere considerati “dissenzienti”, revisionisti e, come tali, non proprio da tutti ben tollerati. Ora, sentire che qualcuno apre il capello in quattro su una certa fase della nostra realtà storica anteriore al 1860, per carità, non perfetta, non immune da errori (ma chi lo è? Forse i piemontesi che vennero giù a “liberarci”? Forse i garibaldesi? Mi pare che Crispi, uno dei liberatori, uno di qua certo, ma moralmente e fattivamente un “liberatore” sicuramente e chiaramente non di secondo piano e non unico nel suo genere – Bertani, lombardo, docet – a cose fatte, ad unità raggiunta avesse raggranellato un patrimonio pari a varie volte il bilancio di quello che era stato il Granducato di Toscana) dopo anni di mistificazioni sulle altrui responsabilità, dopo il lungo silenzio sui danni provocati dai salvatori (Casalduni, Pietrarsa, Mongiana et similia. …ecco: questo, a scuola, non me lo aveva mai detto nessuno, però l’ho scoperto comunque e, se il ricordarlo, se il farlo proprio è essere neoborbonico, allora io sono neoborbonico, revisionista o come vuole lei, ma fiero ed orgoglioso di esserlo); dunque, dopo anni di silenzio (si può dire… “studiato”? Si può pensare … “voluto”? Beh, se si guarda alla storia economica di questo Paese a partire da pochi anni prima del 1860 ad oggi, credo proprio di sì!) e persino di menzogne (“Articolo 22 della Marina Borbonica”, etc e per esempio) sentirsi dire che in certe vicende forse abbiamo avuto delle défiances, beh, sa di sberleffo, sa di beffa che continua … ma è una beffa di cui oggi siamo consapevoli e questo, finalmente, ce la rende inaccettabile!
E’ come se ad un tale che avesse scoperto che è falso ciò che gli è stato fino a quel momento raccontato, e cioè che la terra  è cielo e il cielo è terra, e che, rinfrancato dalla scoperta, dicesse ad ogni piè sospinto che quello in alto è il cielo, non quello in basso, qualcun altro, volendo continuare a negare l’evidenza o non potendola più negare, dicesse … “sì, è vero, è cielo quello in alto ma c’è qualche nuvoletta e non è tutto cielo perché, vedi, quell’ombra laggiù è il profilo di una collina proiettato sull’immagine della volta celeste”; be’, non crede che quell’uno il quale, dopo anni di silenzi e mistificazioni (anche il silenzio mistifica, non crede?), ha scoperto la verità sempre sottaciuta, avrebbe tutte le ragioni per rispondere … ”ma mi faccia il piacere…almeno ora, almeno per un po’; almeno per un bel po’ ”?
Si ammettano prima (o … anche, o … contestualmente) le responsabilità altrui (leggasi … salvatori unificanti – chesalvatori lo furono sì, ma di se stessi)¸ si riconoscano i meriti dei vinti (quanto meno … anche dei vinti), poi (ma non subdolamente e a  scopo: sa, siamo di questo mondo, mica marziani!) e solo poi, si potranno fare le pulci anche ai vinti. Evangelicamente (perdoni l’arroganza) prima le travi, poi le pagliuzze. Anche nel caso in cui lei fosse convinta che le pagliuzze di qualcuno fossero travi, allora che si dica pure delle travi sì, ma di quelle di tutti!  Qui, nei territori che furono del Regno delle Due Sicilie, diventati prima Sud (ed è già una connotazione pesante), poi Terronia, il manicheismo, quel manicheismo lì, quello che ci dice che i cattivi, gli incapaci siamo noi e solo noi, non lo accettiamo più. Ecco: non ne possiamo più.
Non so se vi ha mai riflettuto ma, se il fratello piemontese si muove dal suo fallimentare Regno per aiutare me, derelitto (dicono) suddito borbonico  (e già questa è grossa, anche per chi di economia mastica poco, anche se si potesse fare a meno di quell’aggettivo … fallimentare – e non si può), e, per esempio, quelli dell’Umbria – che avevano un tasso di povertà più alto del nostro prima del 1860 – e se l’Umbria, dopo l’avvenuta unificazione, si risolleva ed io, noi, ormai ex sudditi duosiciliani, no, allora ne discende, logicamente, che noi abbiamo qualcosa che non va: sarà il sole, il clima, il DNA (…qui non sente odore di razzismo!?), ma c’è qualcosa che non va, che non ci consente di fare buon uso del talento affidato a noi come al fratello umbro. Lei è una storica, io no, ma questo, a lei, sembra credibile? A me no, specialmente da quando ho scoperto che, per esempio, le fabbriche d’armi, e  le acciaierie di allora, che avevamo in Calabria (le migliori e più grandi della Penisola) chiusero dopo l’unità e riaprirono – ma guarda un po’!? – proprio a Terni…
Di “aiuti” come questi, noi, dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie, dopo il 1860, ne avemmo parecchi, tanti … quanti bastavano per ridurci a terroni (che non fa rima con acquirenti, con clientes, però funziona lo stesso in quel senso lì…). Ecco: sentirci dire dei nostri difetti (ancora!? Di nuovo!? Soltanto!?!?!?!?), veri  o presunti che siano, per grandi o piccoli che possano essere, dopo la scoperta di cose come queste, non lo tolleriamo più. È una cosa che da noi non attacca più, anzi, “faattaccare”, infervora, accende gli animi, i nostri, quelli di coloro che ormai sanno (verrebbe da dirle …grazie!).  Dunque, è questo, il riproporsi di un meccanismo per noi del Sud dannoso oltre che perverso (ma ormai messo a nudo e di cui sempre più meridionali prendono coscienza), che non ci piace, che non accettiamo più e che, riproposto, genera frustrazione, rabbia e risposte talvolta accese, anche nel linguaggio. Non volevo dirle di più. Fiorentino Bevilacqua.
(Nella immagine la lapide che non c’è…)…